Contare e raccontare

Carlo V, che era analfabeta, ma aveva a che fare con dignitari di lingue assai diverse, diceva – racconta una fonte – che per pregare gli andava bene lo spagnolo, per parlare alle dame il francese, l’italiano per jouer la farce e, infine, il tedesco per parlare à son cheval (ma il bon mot girava per l’Europa con varianti e aggiustamenti a seconda dei paesi…). I comici dell’Arte e gli attori di teatro e di melodramma che recitavano con successo per l’Europa sei e settecentesca convinsero che l’italiano, come già Carlo V pensava (almeno in una variante), era la lingua del bel canto e del teatro. Più o meno nello stesso torno di tempo lo sviluppo degli studi filosofici, matematici e scientifici in Francia convinse gli europei che il francese era la lingua della ragione e della scienza, e via seguitando. Ci sono ragioni storiche dietro questi stereotipi, ma di stereotipi spesso si tratta, Corneille e Molière, da un lato, Galilei dall’altro, e di rincalzo Shakespeare, Locke, le cantate tedesche di Bach, il sorgere della grande filosofia tedesca, stavano lì a mostrarlo. Ma non ci si badava e gli stereotipi hanno resistito fino all’Ottocento e perfino il grande, acuto, rigoroso Leopardi ne conserva qualche traccia. Diverso è il caso di lingue nel cui tramandarsi non c’è stata occasione di ampliarne l’uso fino ad abbracciare certi ambiti. Tra terzo e secondo secolo avanti Cristo i romani avevano fatto un gran lavoro per creare una tradizione d’uso teatrale e letterario della loro lingua. Ma matematica, logica, scienze, filosofia restavano consegnate al greco. Ancora nella prima metà del primo secolo avanti Cristo, Lucrezio, alle prese con la presentazione in latino della fisica e della cosmologia, dell’etica e dell’antropologia di Epicuro, lamentava la patrii sermonis egestas, l’angustia della parlata dei padri latini. La vinse in modo mirabile. E gli si affiancarono altri di lì a poco, Cicerone avanti a tutti, per rendere latini significati consegnati fino ad allora al greco: quando da psicologi o neuroscienziati parliamo di coscienza, da chimici o merceologi di qualità, da matematici o fisici di quantità, siamo tutti debitori alle pazienti escogitazioni lessicali di Cicerone, impegnato anche lui a trarre il latino verso i lidi del pensiero filosofico e scientifico del suo tempo (e ancora, come si vede, del nostro). Per un millennio e mezzo, come ho ricordato prima, il latino è restato la lingua d’elezione per chi voleva trattare di filosofia, di matematica, logica e scienze e l’idea che fosse la lingua «logica» per eccellenza è stata dura da sradicare. Qualcosa del genere è accaduta al giapponese e cinese. Un mio antico alunno, Federico Masini, ora non posso nemmeno dire collega perché è asceso alla carica di preside della bella ed efficiente Facoltà di Studi orientali della Sapienza, ha scritto un libro ponderoso, tradotto dall’inglese in giapponese e in cinese, sui prestiti dal cinese in giapponese (e questa era materia in parte nota) e poi, tra Otto e Novecento, sui prestiti dal giapponese in cinese. E ha mostrato che in molti casi siamo in presenza di «cavalli di ritorno»: antichi sinismi, assimilati in giapponese, sono stati restituiti come giapponesismi al cinese. Ma, a parte questa curiosità, ha documentato il succedersi degli sforzi compiuti a fasi alterne da chi usava le due lingue per vincere la patrii sermonis egestas. Dante quando comincia a scrivere la Commedia e buona parte dei traduttori dell’Antico e Nuovo Testamento nelle ormai 2400 lingue in cui sono tradotti hanno conosciuto la stessa condizione difficile che è quella del trasporre in una nuova lingua vini di antiche e accreditate botti: all’inizio di una nuova tradizione linguistica, la redazione di opere di pensiero e scienza non è stata mai impresa da pigliare a gabbo. Più e più volte l’impresa fu e sarà vittoriosa grazie alla plasticità insita in ogni lingua «del mercato» e «di casa» e grazie all’impegno storico di comunità che hanno fatto e faranno propri i risultati di tali imprese. 

Carlo Bernardini, Tullio De Mauro, Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture, Laterza (Collana I Robinson/Letture), 2003¹. (Brano tratto dalla sezione scritta da Tullio De Mauro; corsivo dell’autore)  [Libro elettronico]

Commenti

Etichette

Mostra di più