Il mito dell’Alfa dominante: il sacrificio senza il sacro

Avrete sentito spesso la parola alfa associata in natura, per esempio, ad alcuni uomini: il maschio alfa. Normalmente è un riferimento che viene dal mondo animale e nello specifico ad un branco di lupi. Ma su questo ci torneremo dopo.

Comunque nel mondo animale l’alfa dominante è l’individuo che ha il rango più alto. È l’individuo preminente all’interno di un gruppo: ha maggiore forza (in senso lato) e accesso alle risorse, oltre che alle femmine.

Conseguentemente nella nostra società, con uomo alfa, ci si riferisce ad un individuo che si è imposto naturalmente sugli altri per via di alcuni tratti del suo comportamento ed è dunque predominante.

Questa visione in realtà deformante dei rapporti in natura, rapportata in altri ambiti, ha effetti devastanti.

Passeggiando con il mio cane incrocio un signore in bicicletta, con un piccolo pit-bull a seguito. I due cani si mettono a giocare. Infastidito, il signore chiama il suo, che è troppo preso dal gioco per dargli ascolto. Quando, finalmente, il pit-bull, con la coda fra le gambe, si fa prendere, viene punito per non aver obbedito immediatamente.

Quella coda fra le gambe era segno che il cane provasse non rispetto, ma timore, e sgridarlo, una volta arrivato, dal punto di vista del cane era una punizione per essersi avvicinato.

Mi chiedo se il signore aderisse alla teoria della dominanza, Questo mito, che il padrone deve essere l’alfa dominante, basato su uno singolo studio di alcuni lupi in cattività, poi estrapolato ai lupi in generale, e da lì, a tutti cani, è stato completamente smentito da tantissimi studi in seguito. Perfino da chi l’aveva ipotizzato originalmente.

Purtroppo questa tesi continua ad essere molto popolare. Forse proprio per il nostro modo di considerare il rapporto con il resto della natura: il mondo ci appartiene e noi padroni dobbiamo sottomettere il mondo.

Questa nostra visione della realtà ci impedisce di riconoscere altri punti di vista. Quando estendiamo i confini delle nostre città a ridosso di boschi, e lì ci imbattiamo in un orso, siamo noi ad aver invaso il suo territorio.

Eppure spesso è l’orso a rimetterci la pelle. Mi ricordo un libro di scuola in cui si parlava dei primi coloni europei che conquistarono un’America terra vergine. Come se gli indiani non fossero stati altro che delle erbacce da estirpare.

La distruzione di fauna e flora non si limita a terre e mari. Riguarda anche l’aria. Il “miracoloso volo US Airways 1549” fece grande notizia, tanto che l’eroismo e la bravura del pilota sono stati immortalati nel film “Sully” nel 2016. L’aereo fu costretto ad effettuare un ammaraggio di emergenza sul fiume Hudson dopo essersi imbattuto in uno stormo di oche canadesi. Nell’impatto con gli uccelli, rimasero irreparabilmente danneggiati entrambi i motori del velivolo che li aveva investiti.

Per liberare i cieli sono state immediatamente uccise 1.235 oche canadesi, e più di 1700 uova furono coperte di olio per asfissiare le ochette. In seguito sono state abbattute più di 70.000 oche.

Non è che una goccia del mare di sangue che noi versiamo. Nel 2008, per l’influenza aviaria, sono stati abbattuti milioni di volatili, e con la nuova ondata di epidemia aviaria, nel gennaio 2021, è già iniziata un’altra strage di decine di migliaia di oche e polli.

Chi pensa cinicamente che sono solo animali dimentica che il prezzo lo hanno anche pagato quasi due milioni di persone morte per il Covid. Le zoonosi, malattie trasmesse da animale a persona, sono in aumento proprio per la nostra incuria nei confronti del regno animale e vegetale. Se continueremo a distruggere habitat naturali nell’indifferenza per il costo pagato da altre specie subiremo pandemie sempre più pericolose.

Il nostro convincimento di antichissima origine, prima che biblico, di dover placare gli dei con il sacrificio di qualche animale sembra essersi tramutato in una versione più profana. Ormai è diventato un rituale di massa senza rito, un sacrificio senza il sacro. Non credo di esagerare nel pensare che l’Olocausto e il Porrajmos sono un’estensione della presunzione della nostra superiorità.

Dovremmo incominciare a chiederci non quando sarà ora di fermarci, ma perché continuiamo.

Andy De Paoli

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