La nazione delle piante

Nel 1865, l’economista inglese William Stanley Jevons notò come i miglioramenti tecnologici che si susseguivano nel tempo e che aumentavano l’efficienza dell’uso del carbone, invece di portare ad una riduzione nelle quantità di carbone, determinavano, al contrario, un aumento del suo consumo. Un vero e proprio paradosso, la cui spiegazione è, tuttavia, molto più semplice di quanto potrebbe sembrare: quando il progresso tecnologico o le politiche che ne regolano l’utilizzo aumentano, in qualche maniera, l’efficienza con cui una risorsa è utilizzata, riducendone, conseguentemente, la quantità necessaria per un qualsiasi suo impiego, il tasso di consumo di tale risorsa, invece di diminuire, aumenta a causa dell’ampliamento della domanda. Il paradosso di Jevons, nonostante sia perfettamente conosciuto e studiato, continua ad essere completamente ignorato sia dai governi sia anche, paradosso nel paradosso, dai molti movimenti ambientalisti mondiali. Tutti convinti, in generale, che i guadagni in termini di efficienza ridurranno il consumo di risorse. La verità, come sta a dimostrare l’assoluta fondatezza delle previsioni del Club di Roma, è del tutto diversa. Le piante, ovviamente, non hanno di questi problemi; il loro sviluppo non può che tener conto della disponibilità di risorse. Così, come qualunque altro sistema naturale, il mondo vegetale segue la semplice regola di crescere fin che è possibile farlo, in accordo con la quantità di risorse disponibili. In altre parole, quando i mezzi scarseggiano, la crescita si riduce. L’insana idea che sia possibile crescere indefinitamente in un ambiente che dispone di risorse limitate è soltanto umana. Il resto della vita segue modelli realistici. 

 Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza (collana i Robinson / Letture), 2019¹; pp. 107-08.


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