Machiavelli

Machiavelli non fece in tempo a vedere la Chiesa in un ruolo politico e militare ridimensionato rispetto a quella di cui era stato testimone, né di assistere alla controffensiva religiosa della Controriforma. Ne avrebbe certamente tratto materia per ridisegnare l’antico e irrisolto dualismo politica-religione, trono-altare. Le sue opere erano una conseguenza tecnica dei dilemmi provocati dai due poteri, il risultato di una ricerca sulla contraddizione suprema di una Chiesa da una parte usata dal potere dei principi, dall’altra bene attrezzata a usare essa quel potere, data l’importanza che, comunque, la religione aveva nel tenere legati i popoli da governare a valori umani autentici, a timori, a sentimenti e costumi condivisi e comuni. Machiavelli e Guicciardini, lo si è visto, odiavano dal profondo del cuore il duplice uso del potere temporale della Chiesa, la protervia dei pontefici-soldati, l’esercizio degli strumenti religiosi di interdizione o di minaccia contro avversari teologici e nemici politici della Chiesa. Ma la loro intelligenza politica li portava a non sottovalutare il collante “civile” insostituibile della religione. Al contrario di quanto poi dirà un antimachiavellismo e antiguicciardinismo di maniera, essi pensavano la religione non come un instrumentum regni, ma come un lievito accomunante, una porta di accesso al lascito migliore del cristianesimo, alla pietà, alla carità, allo spirito di fratellanza degli uomini e quindi anche dei «cittadini». Ma è vero anche che Machiavelli è un precursore di quella Religionskritik che da Spinoza, ai pensatori libertini, agli illuministi, giungerà a Marx. Sono convinto che questo filo rosso cominci con Machiavelli, come ha sottolineato Leo Strauss nei suoi Thoughts on Machiavelli (1958), anche perché egli muoveva da un’ottica politica, e quindi secolarizzata, della religione. 

Lucio Villari, Machiavelli. Un italiano del Rinascimento, Mondadori (collana Oscar saggi), 2013; pp. 159-60.

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