L'umiltà del male

Quando il dominio è illimitato, ma è gestito da un gruppo ristretto, ha bisogno di rivolgersi all'esterno, di trovare un numero esteso di collaboratori tra le sue vittime, di consociarle al male. E per poter cooptare in questo compito degli estranei o addirittura degli ex nemici, è necessario coinvolgerli nei propri delitti: «i collaboratori che provengono dal campo avversario, gli ex nemici, sono infidi per essenza: hanno tradito una volta e possono tradire ancora. Non basta relegarli in compiti marginali; il modo migliore di legarli è caricarli di colpe, insanguinarli, comprometterli quanto più è possibile: così avranno contratto coi mandanti il vincolo della correità, e non potranno più tornare indietro» [Nota: P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, p. 30.]. Si tratta di pratiche ben note a tutte le associazioni criminali, e non solo ad esse: la prova della fedeltà del novizio è data dalla sua disponibilità a commettere, senza sollevare obiezioni, un delitto per conto dell'organizzazione e dei suoi capi. Dopo questa prova di fedeltà per lui sarà impossibile tornare indietro: la solidarietà nel male diventa irreversibile, perché chi ha compiuto un delitto di iniziazione consegna tutta la propria vita nelle mani dell'organizzazione che lo ha costretto all'omicidio. Si annunzia qui un tema cruciale: il potere non sta fermo, ma contagia e corrompe, mira a coinvolgere nelle proprie trame anche chi in un primo tempo è estraneo ad esse: reclutando collaboratori tra le vittime esso, se non ne uccide l'anima, la ferisce a morte. 

Franco Cassano, L'umiltà del male, Laterza, Roma-Bari, 2011. [Libro elettronico]

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