Gino, guerrigliero italiano a Cuba

C’era un italiano, un certo Gino, che nei bar dell’Avana di Cuba dava del tu a Hemingway. La cosa sorprendente era che si parlavano con l’accento veneto. Gino era nato nel 24 a Rovaré, in provincia di Treviso. Hemingway era dell’Illinois, ma nella prima guerra mondiale aveva combattuto in Veneto. E il suo capolavoro “Addio alle armi” era ambientato in Italia.

Voi direte che, per quanto suggestivo, il quadretto di un certo Gino che, un cicchetto di rum dopo l’altro, spettegola con Hemingway, non è poi questo evento. Ma se ve lo racconto è perché qui il capolavoro è l’altro, è Gino. Il signor Doné Gino disse “Addio alle armi” pure lui, quelle fasciste però. Dopo l’8 settembre del 1943, diciannovenne, combatte da partigiano nella Missione Nelson, salva la vita a due soldati inglesi braccati dai nazisti e il generale Alexander, il comandante in capo britannico, lo onora di un encomio solenne. Ma l’Italia vuole dimenticare e come prima cosa si dimentica i suoi eroi. Gino è disoccupato e costretto a emigrare.

Anche qui, voi direte, “solita, vecchia storia”. Albatros di poca fede! Gino, ve lo assicuro, è più avvincente di Gary Cooper nel film “Addio alle armi”. Lui che da partigiano è esperto proprio di armi ed è un guerriero, si riduce a fare il carpentiere in Francia, in Belgio, in Germania e poi, colpo di testa tropicale, cerca fortuna a Cuba. Ed è da qui che la vita di Gino diventa un film. Ve l’ho detto che è un guerriero nato.

Intanto si sposa una che si chiama Guerra. Norma Guerra. Norma di chi è la migliore amica? Di una certa Aleida, che un giorno diventerà la seconda moglie di Che Guevara. E questa Aleida, mentre a Cuba Batista ha preso il potere e gli americani stappano champagne nei casino’ dell’Avana, scrive a Fidel Castro in esilio in Messico, dopo il fallito assalto alla Caserma Moncada, del matrimonio dell’amica Norma con un ex “Guerrillero italiano” che ha combattuto i fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

E così Gino entra nella testa di Fidel non dalla porta di servizio ma da quella d’onore. Lo sapete perché? Perché Fidel sta radunando all’estero esuli cubani e oppositori, più o meno intellettuali del dittatore Batista e medita di attaccare la sua perduta Cuba. Ma i neo-guerriglieri non sanno imbracciare un fucile, sarebbe come fare la guerra con i bambini e i fuciletti a tappo.
Ve la faccio breve: Gino insegna a sparare a Che Guevara. Non solo, “El Italiano”, così lo chiamava il Che, gli salva pure la vita da un terrificante attacco d’asma e proprio a bordo del Granma, lo yacht con cui i rivoluzionari salparono dal Messico. Il più grande rivoluzionario che la storia ricordi –ha raccontato Alessandro di Giacomo su “Storia”- era a un passo dalla morte ma Gino, che aveva avuto esperienze simili con sua moglie (asmatica anche lei), fu in grado di aiutarlo, praticandogli un energetico massaggio al torace che gli salvò la vita.

E lui, Gino, come la raccontò quell’avventura? … “Tutti lo chiamavano “Che”, ma per me era solo Ernesto […] era mi hermano, mio fratello. Sono stato io a insegnargli a sparare bene, e soprattutto le tecniche della guerriglia”…
“E sul Granma, Gino, come andò?”
“Avevamo fame e sete, ed eravamo stretti come sardine in quello yacht che aveva otto posti in tutto. Ci si poteva stare anche in 20, ma noi eravamo 82. Ed io ero uno dei quattro stranieri, l’unico italiano, anzi l’unico europeo. Alla fine abbiamo finito anche il carburante […] un viaggio che doveva durare 3 giorni ne durò 7…”

E poi, appena sbarcati, raccontava El Italiano: “Ci impiegammo quattro ore per superare arbusti e mangrovie, e poi siamo stati attaccati dagli aerei di Batista. Ci dividemmo in gruppi, come mi aveva insegnato l’esperienza di partigiano. I chiodi degli scarponi ci bucavano i piedi. Ernesto mi aiutò, curandomi le ferite”.

Lui aveva salvato il Che dall’asma, il giorno dopo il Che gli resuscita i piedi, poi dice che la fratellanza fra gli uomini non esiste o è retorica, questi ci credevano, e il resto è Storia. I barbudos conquistarono l’Avana. Ma di Gino quasi nessuno si ricorda più.

Poco tempo prima di morire, a San Donà del Piave, nel 2008, rilasciò un’intervista a Repubblica. Si descrisse in quattro righe davvero belle: “Io sono stato educato in mezzo ai preti, Ernesto il Che era invece un marxista e leninista vero. Eppure siamo diventati fratelli. Mi hanno chiesto se sono anarchico, comunista, rivoluzionario… Io sono soltanto un maledetto selvaggio. Però osservo il mondo e vedo che c’è sempre qualcuno più povero e più ignorante di me. E oggi, chi la dà una mano ai proletari? Forse ci vorrebbero ancora uomini che decidono di essere fratelli. Hasta siempre!”

Era la storia di Gino Doné, l’italiano che chiacchierava in veneto con Hemingway, l’unico europeo che prese parte alla rivoluzione cubana.

da Resistenza

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