Fu vera gloria

 Se a 201 anni dalla morte, avvenuta il 5 maggio del 1821 su uno scoglio vulcanico disperso in mezzo all’Oceano Atlantico meridionale, si discute se la sua “fu vera gloria” o meno, significa che all’”ardua sentenza” preconizzata da Alessandro Manzoni nella sua famosissima ode, i posteri non sono ancora riusciti a dare una risposta precisa.  Né è pensabile fornirla in queste poche righe che si propongono solo di offrire una visione un po’ diversa dal solito di Napoleone Bonaparte, sul quale tanto è stato detto e scritto relativamente al periodo dell’ “ante Waterloo”, ma poco si sa su quello del “dopo", anche se il nostro sopravvisse per circa sei anni alla propria sconfitta, rintanato in una modesta casetta pomposamente ribattezzata “Longwood House”, ricavata alla meno peggio da una capanna inizialmente destinataal ricovero del bestiame sull’isola di Sant'Elena.  A segnare la sua resa definitiva ed incondizionata dopo la fine della temeraria avventura dei “Cento Giorni” furono poche righe vergate da Napoleone in persona e indirizzate al Principe Reggente del Regno Unito: “Vostra Altezza Reale! In balia delle fazioni che dividono il mio Paese e dell'ostilità delle grandi potenze d'Europa, ho terminato la mia carriera politica e vengo, come Temistocle, a sedermi presso il focolare del popolo britannico. Mi metto sotto alla protezione delle sue leggi, che io invoco. Scritto e firmato a Rochefort il 13 luglio del 1815”. 

Rientrato precipitosamente a Parigi dopo la disfatta subita in terra belga, l'imperatore trovò una situazione incandescente con le Camere in subbuglio che reclamavano la sua abdicazione. Dopo qualche tira e molla, il 22 giugno del 1815 Napoleone, messo alle strette, si rassegnò ad abdicare in favore del figlio Napoleone II, il famoso "Aiglon”, pur sapendo che questo suo desideriodifficilmente avrebbe potuto tramutarsi in realtà.  Tre giorni dopo lasciò per l'ultima volta Parigi per recarsi alla Malmaison, residenza della da poco defunta imperatrice Joséphine , sua prima consorte, e da qui puntare verso sud-ovest per raggiungere il porto atlantico di Rochefort con la speranza d’imbarcarsi per l'America, dove poi chiedere asilo e vivere come un “semplice borghese”.  Tutto ciò mentre a Parigi il governo provvisorio concludeva un armistizio con gli alleati che, oltre a prevedere la resa incondizionata della Francia, apriva la strada al rientro di re Luigi XVIII di Borbone, unico capo di stato accettabile dalle potenze vincitrici, il che avvenne come da copione l'8 luglio di quell’anno.  La prima decisione del reinsediato sovrano fu quella di dichiarare Napoleone nemico pubblico e spiccare nei suoi confronti un mandato d'arresto. Da parte loro gli inglesi, venuti a conoscenza delle intenzioni di colui che era ormai soltanto il “generale Bonaparte”, decisero d’imporre un blocco navale davanti alla baia di Rochefort, chiudendo ermeticamente tutti i canali che dalla città portavano verso il mare aperto. 

Il capitano Maitland, comandante della flotta di Sua Maestà Britannica, si premurò anche di avvertire quell’“illustre Signore" che “gli era impossibile permettere a qualsiasi unità militare di prendere il mare dal porto di Rochefort e di lasciar passare navigli, quale che fosse la lorobandiera”.  Visto però che da Parigi stava arrivando la Guardia Nazionale per arrestarlo, a Napoleone non restò che chiedere asilo presso i nemici di un tempo, donde la lettera già citata che, una volta recapitata allo stesso Maitland, lo convinse ad accoglierlo a bordo della sua “Bellerophon”.  Così l'ex-imperatore si consegnò ai suoi nemici giurati, cui non sembrava vero di avere fra le manicolui che per oltre vent'anni era stato il loro spauracchio. Durante la rotta verso Plymouth la “Bellerophon” passò al largo delle coste bretoni e per Napoleone questa fu l'ultima occasione in cui scorse, seppure da lontano, un lembo di terra francese.  Appena giunto in Inghilterra l'ingombrante ospite, la domanda che si posero governanti ed opinione pubblica fu soltanto una: “Che fare del nemico pubblico numero uno?”. In verità la decisione era già stata presa nel corso di un’animata riunione di governo durante la quale si era stabilito che la destinazione obbligata del “generale Bonaparte” fosse la sperduta isola di Sant'Elena, e questo perché “ad una simile distanza ogni suo intrigo sarà impossibile”.  Così, dopo essere stato sbarcato dalla “Bellerophon” solo per il tempo necessario a salire sulla più grande “Northumberland”, Napoleone iniziò il suo ultimo e tristissimo viaggio il 3 agosto, in compagnia di una ristretta corte personale. 

Sarebbe giunto a destinazione il 16 ottobre successivo, per iniziare a spegnersi in un lento, ma inesorabile, decadimento fisico e mentale, animato dall'unica ossessione di dettare le sue memorie e spiegare ai posteri come lui, l'imperatore, per la disfatta di Waterloo non portava alcuna responsabilità.  Se dunque "Ei fu”, la sua effettiva dipartita può forse ante-datarsi al giorno della sconfitta di Waterloo, perché da quel preciso momento in poi un Napoleone inebetito e frastornato aveva smesso di essere quel che era stato sino ad allora.  Accompagna questo scritto il quadro “Napoleone a bordo della Bellerophon” di Sir William Quiller Orchardson, Tate Britain Gallery, Londra.  

(Testo di Anselmo Pagani)


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