Ma è tutto falso

IL 15 DICEMBRE 1969 GIUSEPPE PINELLI “VOLAVA” DALLA FINESTRA DELLA QUESTURA DI MILANO: LA MORTE DI UN INNOCENTE NELLE MANI DELLO STATO

Il 12 dicembre 1969 una bomba esplode in Piazza Fontana, presso la sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura: 17 morti e 88 feriti.

A poche ore dalla strage, il prefetto di Milano, Libero Mazza, telegrafa al presidente del consiglio Mariano Rumor. Il contenuto del messaggio è chiaro: la bomba l'hanno messa gli anarchici.

Nei giorni successivi alla strage 150 persone, tutte appartenenti all'area libertaria o al mondo della sinistra extraparlamentare, vengono fermati e interrogati.

In particolare le indagini si orientano su un gruppo di anarchici che fanno parte del circolo del Ponte della Ghisolfa. Alla sede del circolo, in via Scaldasole, la polizia arriva presto. Due agenti e il vicecommissario della squadra politica Luigi Calabresi già la sera del 12 dicembre si presentano per portare in caserma gli appartenenti al circolo. Proprio in quel momento arriva Giuseppe Pinelli, un anarchico che lavora come ferroviere alla stazione di Porta Vittoria e uno dei principali animatori del circolo. Gli agenti lo invitano a seguirlo, lui non solo non oppone resistenza ma con il suo motorino sta dietro alla volante fino alla questura, in via Fatebenefratelli.

Lì trova un centinaio di fermati che, progressivamente, sono mandati in carcere. Ma Pinelli no, lui viene trattenuto e ripetutamente interrogato. Dopo tre giorni è ancora in questura, nonostante la validità del suo fermo sia scaduta da 24 ore.

Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre Giuseppe Pinelli viene interrogato, per l'ennesima volta. Nella stanza di 16 metri quadrati con lui ci sono il commissario Calabresi, i brigadieri Mainardi e Panessa, Caracuta e Smuraglia e il tenente dei carabinieri Lo Grano, che si scoprirà poi essere un agente dei servizi segreti.

A un certo punto, secondo i resoconti ufficiali, Calabresi esce dalla stanza per portare il verbale dell'interrogatorio al suo capo, il dott. Allegra. Un attimo dopo Pinelli vola dalla finestra del quarto piano. Viene portato in ospedale, ma ci arriva già morto. Il suo corpo senza vita è piantonato dalla polizia che non lo fa vedere nemmeno ai familiari.

Secondo le autorità di polizia Pinelli si sarebbe suicidato. Il gesto estremo sarebbe un'ammissione di colpa per la strage di Piazza Fontana. Gli agenti presenti durante l'interrogatorio danno tutti la stessa versione e parlano di un improvviso balzo felino dell'uomo oltre la finestra.

Ma è tutto falso. Pinelli non si è suicidato.

Si apre una prima inchiesta che naufraga a causa della ricusazione del presidente del consiglio giudicante Carlo Biotti, a lungo oggetto di una controversia giudiziaria che di fatto blocca le indagini che stava portando avanti. Una seconda inchiesta si apre nel 1972. Il corpo di Pinelli viene riesumato e analizzato. Si apre un nuovo processo che stabilisce che Giuseppe Pinelli è morto per un "malore attivo". Lo stress, la stanchezza, il freddo gli avrebbero provocato un'alterazione del senso di equilibrio che è stato alla base della caduta.

La sentenza viene fortemente osteggiata da amici e familiari.

Nessuno dei poliziotti presenti è processato per falso ideologico. Avevano tutti spergiurato che l'interrogato si era gettato. E neppure vi fu alcun processo per abuso d'ufficio visto che Pinelli era trattenuto come detto in maniera illegale e arbitraria.

In seguito emergeranno altre testimonianze discordanti e nuovi particolari che faranno sembrare inattendibile la ricostruzione dei fatti.

Recentemente Gianadelio Maletti, vicecapo del Sid tra il 1971 e il 1975, ha affermato che Pinelli durante l’interrogatorio venne messo sul davanzale e spinto ripetutamente durante l’interrogatorio verso il vuoto. Così, per errore, lo avrebbero infine fatto cadere.

In ogni caso i processi sulla strage dimostreranno la totale estraneità del ferroviere rispetto alla strage di Piazza Fontana.

Come per molti altri eventi degli Anni di Piombo ciò che la verità giudiziaria non ha accertato deve essere oggetto di un'attenta indagine storica che faccia luce definitivamente sui fatti.

A oltre cinquant'anni da quei tragici eventi ciò che risulta palese è il tentativo da parte di alcuni organi dello Stato di trovare negli anarchici un capro espiatorio della strage e allo stesso tempo sono chiare le manovre messe in campo per depistare le indagini e impedire l'individuazione dei reali colpevoli.

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