Il calcio

 Il calcio appariva come l'oppio, se non dei popoli, almeno delle domeniche. E la religione del calcio, che celebrava i suoi riti verbali durante la settimana, diventava una vacanza catastrofica delle masse. Ricordo il rammarico sgomento di un mio amico organico (non a me, ma al partito), quando mi aveva testimoniato una sua convinzione: che se in Italia non ci fosse stato il calcio, la situazione politica sarebbe stata diversa. La vittoria di Bartali al Tour, nel 1948, aveva distratto una sollevazione popolare dopo l'attentato a Togliatti. E il calendario del calcio domenicale assolveva, più che una funzione rituale, una funzione ipnotica. Non so che cosa direbbe oggi che la funzione si celebra alla televisione tutti i giorni. Ma non mi stupirei se, convertito, vi partecipasse anche lui. Gli intellettuali che si appassionavano al calcio venivano guardati - diciamo così - con delusione, tranne che dai compagni di vizio. E sembravano cooperare al Tradimento dei chierici, come Julien Benda aveva chiamato nel 1924 il progressivo laicizzarsi della religione dei valori: un libro che tutti gli intellettuali conoscono, ma quasi nessuno ha letto, me per primo. Naturalmente i transfughi sapevano reagire con allegria al ricatto del rigore, parola molto amata in quegli anni rigidi. Alcuni sottolineavano anzi la propria corruzione, con una sfrontatezza spavalda. Altri dedicavano maggior tempo alla propria droga, a conferma che le virtù si perdono rapidamente, ma non altrettanto i vizi. La risposta ambientale non era comunque confortante. E la diffidenza che li circondava induceva i tifosi a cercare la solidarietà dei pochi complici. Ricordo Vittorio Sereni che dell'Inter amava non solo la squadra, ma le bandiere. Lo riconosceva con la sua reticenza crucciata. Mi aveva confessato che una sconfitta della nostra squadra (io andavo allo stadio alle undici di mattina, per appollaiarmi nei posti migliori sulle gradinate) poteva cambiargli l'umore fino al mercoledì, quando cominciava a pensare al riscatto della domenica. E appariva ormai rassegnato a quel tratto infantile. La svolta degli intellettuali (ancora un tradimento?) è avvenuta all'epoca del campionato mondiale vinto dall'Italia, nel 1982. Ho visto editori che fino ad allora definivano il calcio come ventidue uomini in mutande a caccia di un pallone parlare improvvisamente - come avessero ricevuto il dono della glossolalia - di fasce laterali e di interdizione a metà campo. Ho visto scrittori che ignoravano che cosa fosse il fuori gioco discettare sulla linea invisibile dei difensori. Ho visto insegnanti cultori della civiltà nei rapporti (divinità invocata soprattutto dalle coppie che divorziano) accanirsi con epiteti infamanti sull'arbitro. Che cosa stavano vivendo gli innamorati dell'impegno? Forse l'amore nascente per un disimpegno che da allora non ha fatto che crescere, pur tra alibi, coperture e transfert. 

  Giuseppe Pontiggia, Prima persona, 2002.


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