A Luca Serianni

 Maestri per sempre «La forma certo non è tutto». Pausa. «È solo il 95 per cento». Lo capivamo subito che era speciale. Fin dalla prima lezione. Arrivava puntualissimo nell’aula di geografia già gremita e cominciava a leggere e commentare i «Materiali per servire al corso di storia della lingua italiana».  Ho sognato per anni di poterla scrivere anche io prima o poi quella frase: e quando l’ho scritta su una dispensa universitaria è stato come essere diventato finalmente adulto. Passavamo un’ora a prendere ininterrottamente appunti, perché ogni parola era illuminante. Finivamo con un crampo alla mano e un sorriso stampato in faccia. Il tempo volava: perché da ogni parola traspariva la cura, la dedizione, la gioia per quello che stava facendo. Nel suo impeccabile aplomb, l’ironia era il sintomo d’amore al quale non sapeva rinunciare. Anche se lui avrebbe citato piuttosto qualche aria del suo amato Verdi. «A volte», mi raccontò un giorno, «quando le ascolto provo l’incoercibile impulso di imitare un direttore d’orchestra».  Lo capivamo che era speciale quando ci salutava per le scale, quando si faceva dare i numeri dalla segreteria didattica e ci telefonava a casa di persona per comunicare lo spostamento d’una data d’esame. Quando a lezione dava il suo numero di telefono. Il suo è uno dei due numeri fissi — gli unici due — che ancora ricordo a memoria (l’altro è quello della casa dei miei genitori). L’ho chiamato per trent’anni, soprattutto quando ero in difficoltà. Mi ha sempre ascoltato e consigliato (l’ultima volta è stata pochi giorni fa). A volte commentando qualche passaggio con un lapidario «Non bello» (la litote intensiva era la sua figura retorica preferita), molto più spesso sdrammatizzando con il suo proverbiale e salvifico «Fregatene!».  Quando passava al tu voleva che la cosa fosse reciproca. Noi, però, a dargli del tu all’inizio non ci riuscivamo. Ne uscivano fuori improbabili frasi impersonali. «Come si è trovato dunque quel capitolo della tesi?». Lui i capitoli li leggeva a uno a uno, per tutte le tesi e poi per tutti gli articoli che gli mandavamo da leggere. Dalla tesina del primo anno al libro di chi era già professore. L’asterisco per le cose che gli piacevano particolarmente; i richiami tipo correzione di bozze con le spiegazioni che a volte continuavano sull’altra facciata del foglio. La sua grafia nitida ci faceva capire che c’è sempre da migliorare. La sensazione rassicurante di un maestro insuperabile.  Insuperabile anche nella generosità con cui si è dedicato fino all’ultimo alla sua vocazione didattica. Sempre in viaggio verso qualche città, paese, frazione d’Italia per tenere una lezione, una conferenza, un seminario. Dall’università più prestigiosa fino alle classi delle scuole medie. Davanti a platee incantate dalla maniera in cui spiegava le cose, facendo sembrare semplici anche le più difficili. Lo sanno fare solo i fuoriclasse: e infatti le persone lo capivano subito che era speciale. Così, quell’indirizzo di posta elettronica creato con una strana parola — «Il nome di una città immaginaria che avevo inventato da bambino» — era ormai diventato di fatto di dominio pubblico. E lui si sentiva in dovere di rispondere a chiunque gli sottoponesse un dubbio linguistico.  «Si era sempre fatto così», sorrideva sornione quando gli chiedevo come ci riuscisse. La battuta era nata durante una delle tante passeggiate in montagna. «Che facciamo: i giornali li lasciamo in macchina?», «Certo: si era sempre fatto così …». Un’altra tessera di quel lessico famigliare che lui alimentava con divertita autoironia. Come quel suo «Lo penso veramente» con cui giocava a sottolineare alcune affermazioni. Non per svalutare le altre cose che aveva detto, ma per rimarcare la distanza fra quella conversazione e le tante di circostanza che siamo costretti a sostenere ogni giorno.  Una specie di codice cifrato: un linguaggio speciale, un segno di appartenenza per noi che abbiamo avuto dalla vita la fortuna e il privilegio di far parte della sua grande famiglia. Famiglia che in un’accezione più ampia arrivava a comprendere tutta la folla di giovani che negli anni aveva seguito le sue lezioni. E per Luca Serianni era tutt’uno con l’instancabile missione etica e civile ispirata alla Costituzione. «Ai miei studenti di quest’anno», ricordava in chiusura della sua ultima lezione universitaria, «ho chiesto – con una movenza, lo riconosco, da vecchio retore – sapete che cosa rappresentate per me? Immagino che non lo sappiate: voi rappresentate lo Stato».  

Il ricordo di Giuseppe Antonelli, Professore ordinario di Linguistica italiana presso l'Università degli Studi di Pavia, allievo del professor Luca Serianni, scomparso il 21 Luglio 2022.


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