«Nella mia vita, ho conosciuto molti Umberto Bossi. Non è difficile. Basta allontanarsi dalle grandi strade della Padania, risalire le incantevoli valli intorno a Bergamo, disseminate di angeli di Lotto rosa e celesti, o le valli minori della Valtellina, o in Piemonte la valle di Stura fino a Pian della Mussa, o spostarsi in Veneto verso Pieve di Soligo, dove vive un grande poeta. Troverete ancor oggi delle piccole osterie-trattorie. Vi si mangia benissimo: polenta coi funghi, polenta col capriolo, polenta col più raro stambecco, come se la polenta fosse il cibo dei cibi e il rimedio di tutti i mali.   In un angolo della trattoria, c'è (o c'era) un tavolo coperto di macchie di vino, quasi viola. Vi siede un uomo sui quarant'anni. Ha la barba lunga, gli occhi allucinati dall'insonnia, e beve senza arrestarsi mai. Parla, parla, parla. Incomincia con le sue (improbabili) avventure erotiche, nelle quali ha dimostrato una valentia sovrumana: come Ercole o Ulisse. Poi diventa più interessante. Nella sua vita di vagabondo, deve aver letto qualche libro, e sfogliato un'enciclopedia. Costruisce cosmogonie, partendo dal basso. Comincia a parlare male del sindaco: poi del prefetto; poi del governo. Mentre la sua voce si gonfia, si arrochisce, stride, ridacchia, sale sopra sé stessa, rivela cosa farebbe "se fossi al governo": niente più tasse, gli omosessuali castrati, i figli adottivi proibiti. Alla fine, la sua fantasia sovrana non ha più limiti. Racconta il Big-Bang (con una sua ipotesi personale), parla dei dinosauri travolti da un meteorite, discorre facetamente della Unità e Trinità di Dio, dell'incarnazione di Cristo ("una stranezza"); dell’Impero Romano, che detesta ("Tutta roba da omosessuali"), esalta Vercingetorige e i Galli che saccheggiano Roma, e poi giù, spinto da grandi, impetuose folate di vento e di genio, fino al Medioevo e alla Rivoluzione francese. Non ama i preti, ma nemmeno i giacobini ("erano tutti dei letterati"). Vi infilza aneddoti, possibilmente contro gli ebrei. I pochi o molti frequentatori dell'osteria-trattoria lo ascoltano volentieri. Quella voce roca, euforica, smargiassa li diverte: amano la sua cialtroneria, compatiscono la sua miseria. E poi rivela loro cose che non sospettavano. Ma presto giunge la mezzanotte: domattina ci sono i lavori dei campi. I padroni vanno in cucina, trovano qualche fetta di polenta avanzata, persino un pezzo di capriolo, e li ficcano nella bisaccia del vagabondo, che si perde nella notte, chissà dove, cantando una canzone che ha inventato. Come i padroni delle osterie, anch'io amo gli Umberto Bossi. Mi piace la loro inarrestabile loquela lombarda, e la mescolanza di candore, fantasia e un lievissimo profumo di follia. Non sono solo. Piacevano anche ad Alessandro Manzoni, che agli Umberto Bossi dedicò un mirabile capitolo dei Promessi Sposi, quando raccontò di Renzo a Milano, durante i disordini per la penuria del pane, seduto ad un tavolo di osteria.»

Pietro Citati


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