La poesia contro la distruzione dell'ambiente: la lotta di Ken saro Wiwa

Cosa vuol dire essere un poeta nell’Africa postcoloniale? Spesso vuol dire avere un sentimento di amore per la propria terra e di rabbia per quello che le stanno facendo talmente forte da mettere il proprio talento a servizio proprio di quella terra. Vuol dire fare poesia, e non solo quella, di denuncia. Vuol dire condensare in pochi versi tutte le lotte, le grida e le speranze di un popolo intero. In un caso, in un paese chiamato Nigeria, tutto questo ha voluto dire chiamarsi Ken Saro Wiwa. 

La Nigeria degli anni 90 già figurava nell’elenco dei paesi ex colonie, ma era ancora un paese occupato: occupato da una giunta militare e da industrie petrolifere, come la Shell, con cui la giunta era connivente, che ne devastavano il territorio senza dimostrare alcun riguardo a nulla che non fosse il proprio profitto. Non ai danni ambientali, non alle persone che abitavano quelle zone. Le attività della Shell si concentravano soprattutto in una zona, quella del delta del fiume Niger, abitata dall’etnia Ogoni, a cui Ken Saro Wiwa apparteneva, e che decise di organizzarsi per opporsi alla distruzione dell’ambiente a cui tanto erano legati, che tanto avevano dovuto difendere già una volta da occupanti venuti da lontano, e che proprio non volevano essere costretti a lasciare. Il poeta Ken Saro Wiwa, quindi, divenne prima portavoce e poi presidente del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni, organizzandone la lotta nonviolenta, e riuscendo a portare a manifestare fino a 300 mila persone.

Ken Saro Wiwa non ebbe mai paura di fare chiaramente il nome della Shell nelle sue denunce, e pagò con diversi arresti, l’ultimo nel 1994. La prigione non gli impediva però di lottare, perché, come dice lui stesso nella sua poesia più nota, è la vigliaccheria travestita da obbedienza, è la paura che trasforma il nostro mondo libero in una cupa prigione. 

Ma da quelle che per lui erano solo quattro mura, Ken Saro Wiwa uscirà, il 10 novembre 1995, solo per andare sulla forca, insieme ad altri otto dei suoi compagni attivisti, ripagato con la morte dalla giunta militare del suo paese per aver manifestato a favore della vita e della natura, al fianco di tutti coloro che rivendicavano il diritto a non essere costretti ad abbandonare la propria terra, chiedendo che quella terra rimanesse intatta, usando come uniche armi una penna e una voce instancabili. 

Cronache Ribelli


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