Valigia diplomatica

C’è una deformazione, forse inevitabile, nella nostra educazione storica: siamo stati tutti inquadrati in uno schema storico ben definito, la Grecia, poi Roma, poi noi: prima, delle vaghe civiltà del vicino Oriente, un po’ curiose, importanti solo per quel poco di contribuzione che possono avere apportata alla civiltà greco-romana: tutto il resto non ha importanza. Siamo abituati, generazione dopo generazione, ad accettare senza discussione che la battaglia di maratona è stata la vittoria della civiltà contro la barbarie.

Tutto questo va benissimo se le circostanze ci consentono di passare tutta la vita nei limiti della nostra vecchia Europa.ma se ne usciamo fuori, allora siamo costretti a subire degli shock violenti. Riflettere sulla battaglia di Maratona presso le rovine di Persepoli vi porta, lo si voglia o non lo si voglia, a chiedervi se la civiltà e la barbarie fossero proprio così nettamente da una parte sola. Schemi anche pericolosi in un’epoca in cui la non-Europa non se ne resta a casa sua, ma bussa, impaziente, alla porta di casa nostra.

A molte cose mi sono serviti i sette anni e mezzo passati in mezzo alle montagne afghane: certamente a farmi comprendere, e toccare con mano, che la storia e la civiltà non si erano arrestate ai confini dell’Impero romano.

È una scoperta un po’ dura, più dura di quanto generalmente si può immaginare: una scoperta che ci porta a dubitare di tanti valori che fino allora avevamo considerato come assoluti; e ci porta anche a delle conclusioni meno ottimista e sul mondo di oggi e di domani. Ma è pure un’esplorazione necessaria se non vogliamo perdere completamente di vista quello che sta accadendo intorno a noi.

Tratto da: Pietro Quaroni, Valigia diplomatica, Garzanti, marzo 1956, pp. 149-50.

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