Oltre le passioni tristi

“L’Occidente e il suo modello di uomo “moderno” sono l’esito di una storia di coevoluzione: quella di fatti poco analizzati come l’incidenza culturale e psicologica, ma anche fisiologica, della lettura silenziosa, che comincia a fondare i “giardini interiori” dell’individuo moderno, o l’addomesticamento del corpo verso un autentico oblio di quest’ultimo grazie alla danza, alle regole di gentilezza e alle buone maniere a tavola… 

L’Occidente ha in tal modo creato un modello di uomo singolo, con una topografia e un territorio interni, ai quali corrisponde una cartografia molto complessa. L’uomo della modernità rivolge in effetti a se stesso le domande che un tempo la teologia rivolgeva alla divinità. Per quel che riguarda le scienze umane, queste si sviluppano a partire dal XIX secolo tanto per indagare quanto per produrre l’uomo che descrivono. Concetti come “Io”, “Super-io”, “conscio” o “inconscio” corrispondono in tal senso alla cartografia di un territorio sicuramente reale, ma appartenente a un’epoca e a una cultura ben determinate. 

L’individuo postmoderno della fine del XX secolo è invece fondato sul dispiegamento del suo precedente barocco e segreto. Si vuole trasparente e panottico. Oggi il “peccato” non consiste mai nel contenuto del segreto ma nell’ “avere” segreti. «Tutto ciò che appare è buono e tutto ciò che è buono appare,» scriveva giustamente Guy Debord nel 1967 nel suo celebre scritto sulla “società dello spettacolo”: i nostri contemporanei desiderano offrire in spettacolo la loro intimità. Un pronostico all’epoca poco compreso, ma largamente confermato quarant’anni dopo con l’avvento dell’individuo di Facebook e dei blog, o del richiamo senza tregua degli sms che ha cancellato ogni frontiera tra pubblico e privato. E dal momento che è possibile dire e mostrare tutto, allora si “deve” farlo. 

Quando si critica in pubblico il fatto che i metodi panottici sono diventati onnipresenti, c’è sempre qualcuno pronto a muovere le seguenti obiezioni: “Ma se non si ha niente da nascondere, qual è il problema?”. Se il panottico è nato come una temibile prigione, oggi è diventato il modo di vivere cui aspira una maggioranza di nostri contemporanei. I logorroici impenitenti non raccontano la loro vita nei blog, sono le caratteristiche del blog che disciplinano il loro quotidiano: vivono la loro vita per raccontarla, così come fanno fotografie per postarle su Facebook. In un certo senso, si vendono come prodotti, descrivendo le loro competenze e qualità: “Tiro con l’arco, mi piace il cinema australiano, non fumo, a letto mi piacciono le posizioni sportive, sono molto sensibile…”. 

Il seguito è la valutazione panottica: il numero di “amici” – cosa può voler dire questa parola al di fuori di qualunque affinità elettiva? – valorizza il loro essere, fatto di puro apparire. E all’occasione si corregge il tiro, si cambiano certi moduli, al fine di essere un prodotto più vendibile (questione di “com”). Soprattutto, la clinica lo mette in evidenza, si diffida di qualunque angolo morto che potrebbe far parte di sé. O al contrario si riversa tutto ciò che si ha di più nero, di più sordido, nei rozzi confessionali dello sguardo di tutti ovvero di nessuno.

 — Miguel Benasayag, Oltre le passioni tristi: Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, (con la collaborazione di Angélique del Rey; traduzione di Eleonora Missana), Feltrinelli (collana Campi del sapere), 2016. [ Edizione originale: Clinique du mal être. La “psy” face aux nouvelles souffrances psychiques, avec Angélique del Rey, Paris, La Découverte, février 2015 ]

Commenti

  1. Sembrerebbe non esserci oggi nessuna possibilità di scrivere in rete in maniera diversa.

    RispondiElimina

Posta un commento


Etichette

Mostra di più