Canale Mussolini

Le bonifiche […] non sono un’invenzione di Mussolini, ma un problema che l’Italia unitaria s’era posta subito dopo il Risorgimento e l’unificazione nazionale. Tutte le pianure del Centrosud erano completamente abbandonate da secoli e la gente s’era ritirata sopra i monti, prima per la difesa dalle invasioni dei barbari e dei saraceni, e poi per i latifondi e la malaria. Un deserto. Ed è quindi già alla fine dell’Ottocento che si iniziano a fare – ma sempre e soprattutto in Valpadana – le prime leggi e i primi grandi interventi di bonifica per iniziativa dei privati, che intendevano giustamente incrementare le colture e i guadagni. Non è che fossero filantropiche. Nell’Italia centromeridionale invece – che era quella che ne aveva più bisogno, perché più povera e più malarica – non s’era mai mossa una paglia, poiché non esisteva un ceto imprenditoriale vero e i ricchi proprietari si accontentavano di raccogliere quello che arrivava e di mangiarselo nei loro palazzi di città. È così che dai circoli di Nitti e della Banca Commerciale nasce l’idea – per modernizzare il Mezzogiorno – di farlo diventare anche lui capitalista a tutti i costi: «Se i ricchi del Sud non sono capaci, andiamo noi del Nord al posto loro». Ma con i soldi dello Stato ovviamente. E così fanno nel Pontino, col finanziere Clerici, i Caetani e Omodeo. Ma finì a scandali. Intanto i ricchi proprietari del Sud s’erano incazzati, Nitti era caduto, era caduta la “vecchia Italia” ed era arrivato al potere il Duce, che non aveva però una gran classe dirigente e la sera – prima d’addormentarsi – ogni tanto pure lui dentro il letto si chiedeva: «Ma a me mi sa che un Paese non si può dirigere solo coi manganelli e le schioppettate. A me mi sa che mi ci vuole pure qualche tecnico». Così i tecnocrati dei circoli nittiani passano al fascismo, lui se li prende perché gli fanno comodo e loro ripartono: aggiustano il tiro e ripartono. Chiedono scusa agli agrari meridionali e fanno marcia indietro: «Va bene, bonificheremo con voi attraverso i Consorzi dei proprietari». Loro sono di scuola economica liberale, avrebbero voluto i padroni moderni del Nord, ma a questo punto si accontentano pure di quelli retrivi del Sud. Tertium non datur e un padrone privato ci deve stare per forza, perché senza capitalismo non si va avanti. Ma nel loro mestiere sono bravi e finalmente – dopo secoli e secoli di incuria e d’abbandono da parte dei proprietari – nel 1928 la bonifica idraulica comincia per davvero. Con i Consorzi dei proprietari. Ma chi è che paga secondo lei? Ecco: tutta la bonifica idraulica, con lo scavo di fossi e canali e la sistemazione d’ogni corso d’acqua, era a totale carico dello Stato. Gli altri lavori invece – ossia ogni opera edile e stradale, le alberature, il consolidamento delle dune, la bonificazione dei laghi, la provvista di acqua potabile e di energia elettrica – lo Stato li pagava solo per il novantadue per cento, mentre l’altro otto per cento se lo dovevano sobbarcare i poveri proprietari. Ha capito? 

 Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori (collana Oscar-Contemporanea), 2013; pp. 159-61.

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