Il prete bello
La sua cortesia e la sua serenità che sfioravano l'allegria erano assolutamente genuine, non erano atteggiamenti assunti per mascherare l'imbarazzo della sua condizione. Erano anni che venivano a prenderlo e da anni lui salutava tutti di buon umore ma senza rimpianto, dando la mano a un conoscente, sorridendo a un altro e saltellando compostamente per il freddo. Era la più brava, buona e simpatica persona che io abbia mai conosciuto. In tutti i piccoli lavori d'ingegno dimostrava buona voglia e precisione e immagino che anche il suo mestiere lo sapesse fare con coscienza. Sono sicuro che non ha mai fatto del male e che i suoi furti non sono stati un vero e proprio danno per alcuno. Non si sono verificati crolli in borsa per colpa sua, né famiglie sono andate in rovina; né disordine, perché lui era un uomo di buon costume, quasi pignolo nei modi e negli impegni, e si radeva tutte le mattine per rispetto alla società. Durante la grande guerra s'era guadagnato una medaglia d'argento, pur militando nei reparti di Sussistenza. Sì e no che avesse mai preso in mano un fucile, le sue armi erano una lametta, dei chiodi e aggeggi del genere. Il suo mondo era il vestito che indossava e l'ospitalità dei parenti. Tuttavia quando attraversò il Corso molta gente si fece attorno al gruppetto e alcuni lo seguirono per un tratto disapprovando. Ci fu persino quello che gridò: «Bisognerebbe metterli al muro, bisognerebbe!», senza sapere naturalmente di che si trattava e cosa aveva fatto. Ma succede sempre così. Tutti vogliono fucilare qualcuno, perfino uno che striscia il muro con la chiave, camminando e zufolando, per strada, così, per fantasia. Vogliono mettere al muro tutti, perfino le mogli che tradiscono i mariti o quelli che bestemmiano. Son fatti così. Ma non tanto di mettere in pratica le minacce ambiscono, non tanto di mettere al muro queste infedeli e questi bestemmiatori, quanto di dirlo; sentono l'impulso, il dovere, di gridarlo, di fare i giustizieri. È un difetto come un altro. Ognuno, al mondo, ha il diritto di sentirsi barbiere, boia, capo dello Stato a suo talento. E così la frase italiana, italiana come Vesuvio, come gondola, è questa: «Se io fossi il Re farei…». Tuttavia non sono malvagi quelli che dicono così. Quel giorno però erano tutti cattivi perché si trovavano in presenza di altra gente e bisognava fare bella figura, non perdersi d'animo e soprattutto non commuoversi - tragica sorpresa dell'animo dell'italiano che vuol fare l'inflessibile -, non cominciare a tirar fuori i fazzoletti. Provai un odio violento contro di loro; se fossi stato il Duce, anch'io lo pensavo, non so a quali torture li avrei sottoposti. Allora non mi venne il sospetto che il Duce, forse, non era mai contento, e che avrebbe potuto pensare anche lui con rabbia: «Se fossi il Papa…».
Goffredo Parise, Il prete bello, Garzanti (collana Romanzi e Realtà), 1965; pp. 99-100. [1ª edizione originale: Garzanti (collana Romanzi moderni), 1954]
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