Geoanarchia

Circa dieci anni fa qualcuno si è inventato un modo nuovo di potare gli alberi. L’idea era semplice se paragonata ai metodi tradizionali: si trattava di tagliare i rami sotto la biforcazione. Dal momento che però, a lavoro finito, ciò che restava era qualcosa di simile a un attaccapanni, l’inventore del nuovo sistema ha creduto di dover conservare su ogni ramo potato un singolo rametto, con tanto di foglie, poche dita sotto il taglio. Continuava comunque ad avere l’aria di un attaccapanni; l’albero era irrimediabilmente perduto. Quell’anno, e negli anni successivi, molti alberi potati, nei giardini privati e pubblici, non hanno superato la primavera. Avevano troppe poche foglie. Ovviamente. Un fatto evidente a chiunque che si è ripetuto per centinaia e migliaia di alberi, non solo per un anno, ma fino a oggi, tra le proteste dei soliti ambientalisti e nello stupore di gente che la mattina usciva di casa con la macchina sporca di guano d’uccello (sono troppi, bisogna sfoltire) e poi rientrava a pranzo credendo di aver sbagliato via. Nel giro di una stagione, gli alberi potati troppo venivano sostituiti con giovani alberelli muniti di cartellino. Il cartellino era vuoto, e non indicava né la specie né l’impresa che lo aveva piantato. Quello che mi ha colpito in questa faccenda è che tutto è avvenuto come se ‘altri’ ne fossero responsabili. Non importa che in quei giorni un titolo di giornale recitasse: COMINCIATI I RICORSI PER LE POTATURE. Non ho letto l’articolo, e forse si trattava di una metafora sui tagli alle pensioni. Il punto è che qualcuno ha fatto, e tutti hanno lasciato fare. Ma sono certo che nessuno con un filo di buonsenso se la sia bevuta. Avevano potato a quel modo anche pini e abeti. Era la prima volta che vedevo potare pini e abeti. E il risultato è a dirpoco surreale. Nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe, nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe fare ai suoi alberi. Eppure… Per anni ho considerato quelle immagini di alberi potati come il mio limite a comprendere certe cose. Era come trovarsi di fronte a una sfinge. Potevi stare ore a cercare la risposta giusta ma perdevi il tuo tempo, e l’albero era sempre là mentre tu non avevi uno straccio di idea per alleviare quell’impressione di non-senso. Non bastava pensare che fosse tutta una strategia delle imprese del verde. Un po’ come chi fa le lampadine che si bruciano dopo un certo tempo (sennò chi le compra più?): i vivaisti fanno crepare con potature vertiginose un certo numero di alberi e poi li rimpiazzano, perché un albero dura troppo, così ci si inventa la sua manutenzione, la sua morte, la sua resurrezione. No. Non basta pensare a cose del genere, perché se anche fosse (e non è improbabile), il vero mistero siamo noi, che ci muoviamo solo se ci toccano il nostro, e molto spesso non ci muoviamo neanche così. Noi, da un lato abituati a delegare tutto, dal potere al potare, e dall’altro semplicemente pigri, lasciamo che idiozie palesi si consumino sotto il nostro naso, con un talento speciale per l’indignazione da poltrona e giornale. Solo in questi giorni, senza nessun evento eccezionale, mi sono fatto una ragione della potatura degli alberi. Il punto è che è esattamente il genere di cose che fa l’uomo. Più intelligente degli altri mammiferi superiori, ha battuto i suoi antagonisti biologici quando era ancora un australopiteco. Tutto andava ancora bene alla fine del Paleolitico, ma con il Neolitico ha imparato a immagazzinare cibo e da allora non ha mai smesso di crescere di numero. La potatura è allora un sistema drastico per eliminare e fare spazio a una nuova produzione: sono in troppi, gli facciamo fare la guerra, li aiutiamo a ricostruire, con i guadagni della guerra e della ricostruzione mandiamo in scuole eccellenti i nostri figli. E le sfumature sono molte: le risorse sono limitate? Immagazziniamole. Una petroliera naufraga e inquina la costa della Bretagna? Multiamo la multinazionale. Dobbiamo tagliarci le unghie? Amputiamo la mano all’altezza del gomito. La mano non ricresce? Montiamo un laboratorio per la ricerca in protesi umane. Basterebbe solo un po’ meno di tutto e qualche attenzione in più. Ma il taglio è una cosa rapida, e dopo si vedrà.

— Da: Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica - di Matteo Meschiari. (©  2017 Armillaria)

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