La Russia di Putin

Dopo Beslan lo slogan di Putin è stato à la guerre comme à la guerre, la verticale del potere va rafforzata. E lui l’ha resa completamente dipendente da un solo e unico uomo (se stesso), che sa meglio di chiunque altro come garantirci dagli attentati. È stata modificata anche la procedura per l’elezione dei governatori: Putin ha insistito affinché venisse abolita l’elezione diretta, causa prima – a suo dire – della loro condotta irresponsabile. Non una parola, non un’allusione riguardo al fatto che a Beslan gli uomini del presidente – Zjazikov e Dzasochov – si erano comportati da codardi, che non avevano fatto altro che mentire dimostrando di essere degli emeriti buoni a nulla. Sullo sfondo della riforma suddetta è stata inoltre portata avanti una massiccia campagna di lavaggio del cervello: si è continuato a ripetere che durante la tragedia di Beslan le autorità avevano tenuto una condotta ineccepibile e nulla di più efficace poteva essere fatto. Per creare una cortina fumogena è stata anche costituita un’apposita commissione parlamentare d’inchiesta, il cui presidente – il signor Toršin – è stato ricevuto al Cremlino per ascoltare da Putin i consigli del caso. La commissione, va da sé, non è mai uscita dal seminato. A Beslan, intanto, si erano resi conto che nessuno si stava più occupando di loro. La televisione si concentrava solo sugli aspetti positivi: il sostegno agli ostaggi, i dolci e i giocattoli per i bambini… Ma i dispersi? Passarono i quaranta giorni del lutto. Vennero celebrati i funerali ufficiali. La televisione non trasmise un solo fotogramma dei genitori straziati. 

 Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi (collana Gli Adelphi, n°639), 2022⁴; pp. 365-366. [1ª Edizione originale: Putin’s Russia, The Harvill Press, London (UK), 2004]

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