Dino Buzzati 20. IL CANE CHE HA VISTO DIO

1.
Per pura malignità, il vecchio Spirito, ricco fornaio del paese di Tis, lasciò in eredità il suo patrimonio al nipote Defendente Sapori con una condizione: per cinque anni, ogni mattina, egli doveva distribuire ai poveri, in località pubblica, cinquanta chilogrammi di pane fresco. All'idea che il massiccio nipote, miscredente e bestemmiatore tra i primi in un paese di scomunicati, si dedicasse sotto gli sguardi della gente a un'opera cosidetta di bene, a questa idea lo zio doveva essersi fatto, anche prima di morire, molte risate clandestine. Defendente, unico erede, aveva lavorato nel forno fin da ragazzo e non aveva mai dubitato che la sostanza di Spirito toccasse a lui quasi di diritto. Quella condizione lo esasperava. Ma che fare? Buttar via tutta quella grazia di Dio, forno compreso? Si adattò, maledicendo. Per località pubblica scelse la meno esposta: l'atrio del cortiletto che si apriva dietro il forno. E qui lo si vide ogni mattina di buon'ora pesare il pane stabilito (come prescriveva il testamento), ammucchiarlo in una grande cesta e quindi distribuirlo a una turba vorace di poveri, accompagnando l'offerta con parolacce e scherzi irriverenti all'indirizzo dello zio defunto. Cinquanta chili al giorno! Gli pareva stolto e immorale. L'esecutore testamentario, ch'era il notaio Stiffolo, veniva ben di rado, in un'ora così mattutina, a godersi lo spettacolo. La sua presenza del resto era superflua. Nessuno avrebbe potuto controllare la fedeltà ai patti meglio degli stessi accattoni. Tuttavia Defendente finì per escogitare un parziale rimedio. La grande cesta in cui il mezzo quintale di pagnotte si ammucchiava veniva messa a ridosso di un muro. Il Sapori di nascosto vi tagliò una specie di sportellino che, rinchiuso, non si poteva distinguere. Iniziata personalmente la distribuzione, prese l'abitudine di andarsene, lasciando la moglie e un garzoncello a esaurire il lavoro: il forno e il negozio, diceva, avevano bisogno di lui. In realtà si affrettava in cantina, saliva su una sedia, apriva in silenzio la grata di una finestrella al filo del pavimento del cortile contro la quale era collocata la cesta; aperto poi lo sportellino di paglia, sottraeva dal fondo quanti più pani era possibile. Il livello così calava rapidamente. Ma i poveri come potevano capire? Con la velocità con cui venivano consegnate le pagnotte, logico che la cesta si vuotasse in fretta. Nei primi giorni gli amici di Defendente anticiparono apposta la sveglia per andarlo ad ammirare nelle sue nuove funzioni. Fermi in gruppetto sulla porta del cortile lo osservavano beffardi. "Che Dio te ne rimeriti! " erano i loro commenti. " Te lo prepari, eh, un posto in Paradiso? E bravo il nostro filantropo! " " All'anima di quella carogna! " rispondeva lui lanciando le pagnotte in mezzo alla calca dei pezzenti che le afferravano a volo. E sogghignava al pensiero del bellissimo trucco per frodare quei disgraziati e insieme l'anima dello zio defunto.
2. 
 Nella stessa estate il vecchio eremita Silvestro, saputo che di Dio in quel paese ce n'era poco, venne a stabilirsi nelle vicinanze. A una decina di chilometri da Tis c'era, su una collinetta solitaria, il rudere di una cappella antica: pietre, più che altro. Qui si pose Silvestro, trovando acqua in una fonte vicina, dormendo in un angolo riparato da un resto di volta, mangiando erbe e carrube; e di giorno spesso saliva ad inginocchiarsi in cima a un grosso macigno per la contemplazione di Dio. Di quassù egli scorgeva le case di Tis e i tetti di alcuni casolari più vicini: tra cui le frazioni della Fossa, di Andron e di Limena. Ma invano aspettò che qualcuno comparisse. Le sue calde preghiere per le anime di quei peccatori salivano al cielo senza frutto. Silvestro continuava però ad adorare il Creatore, praticando digiuni e chiacchierando, quando era triste, con gli uccelli. Nessun uomo veniva. Una sera scorse, è vero, due ragazetti che di lontano lo spiavano. Li chiamò amabilmente. Quelli scapparono.
3.
Ma nottetempo, in direzione della cappella abbandonata, i contadini della zona cominciarono a scorgere strane luci. Pareva l'incendio di un bosco ma il bagliore era bianco e palpitava dolcemente. Il Frigimelica, quello della fornace, andò una sera, per curiosità, a vedere. A metà strada però la sua motocicletta ebbe una panne. Chissà perché, egli non si arrischiò di continuare a piedi. Ritornato, disse che un alone di luce si diffondeva dalla collinetta dell'eremita; e non era luce di fuoco o di lampada. Senza difficoltà i contadini dedussero che quella era la luce di Dio. Anche da Tis alcune notti si scorgeva il riverbero. Ma la venuta dell'eremita, le sue stravaganze e poi le sue luci notturne affondarono nella solita indifferenza dei paesani per tutto ciò che riguardasse anche da lontano la religione. Se veniva il discorso, ne parlavano come di fatti già da lungo tempo noti, non si insisteva per trovare spiegazioni e la frase: "L'eremita fa i fuochi" divenne di uso corrente come dire: "stanotte piove o tira vento", Che tanta indifferenza fosse del tutto sincera lo confermò la solitudine in cui venne lasciato Silvestro. L'idea di andare da lui in pellegrinaggio sarebbe parsa il colmo del ridicolo.
4.
Un mattino Defendente Sapori stava distribuendo le pagnotte ai poveri quando un cane entra nel cortiletto. Era una bestia apparentemente randagia, abbastanza grossa, pelo ispido e volto mansueto. Sguscia fra gli accattoni in attesa, raggiunge la cesta, afferra un pane e se ne va lemme lemme. Non come un ladro, piuttosto come uno che sia venuto a prendersi del suo. " Ehi, Fido, qua, brutta bestiaccia! " urla Defendente tentando un nome; e balza alla rincorsa. "Son già troppi questi lazzaroni. Non mancano che i cani, adesso! Ma l'animale è già fuori tiro. La stessa scena il giorno dopo: il medesimo cane, la medesima manovra. Questa volta il fornaio insegue la bestia fin sulla strada, gli lancia pietre senza prenderlo. Il bello è che il furto va ripetendosi puntualmente ogni mattina. Meravigliosa la furberia del cane nello scegliere il momento giusto; così giusto che per lui non c'è neppure bisogno di affrettarsi. Né i proiettili lanciatigli dietro arrivano mai al segno. Uno sguaiato coro di risa si leva ogni volta dalla turba dei pezzenti, e il fornaio va in furore. Imbestialito, il giorno successivo Defendente si apposta sulla soglia del cortile, nascosto dietro lo stipite, in mano un randello. Inutile. Mescolandosi forse alla calca dei poveretti, che godono della beffa e non hanno perciò motivo di tradirlo, il cane entra ed esce impunemente. " Eh, anche oggi ce l'ha fatta! " avverte qualche accattone stazionante sulla strada. " Dove? dove? " chiede Defendente balzando fuori dal nascondiglio. " Guardi, guardi come se la batte! " indica ridendo il miserabile, deliziato dall'ira del fornaio. In verità il cane non se la batte in alcun modo: tenendo fra i denti la pagnotta si allontana col passo dinoccolato e tranquillo di chi ha a posto la coscienza. Chiudere un occhio? No, Defendente non sopporta questi scherzi. Poiché nel cortile non riesce a imbottigliarlo, alla prossima occasione favorevole darà la caccia al cane per la via. Può anche darsi che il cane non sia del tutto randagio, forse ha un rifugio a carattere stabile, forse ha un padrone a cui si può chiedere un compenso. Così non si può certo andare avanti. Per badare a quella bestiaccia, negli ultimi giorni il Sapori ha tardato a scendere in cantina e ha recuperato molto meno pane del solito: soldi che se ne vanno. Anche il tentativo di sistemare la bestia con una pagnotta avvelenata, messa per terra all'ingresso del cortile, non ha avuto fortuna. Il cane l'ha annusata un istante, è subito proseguito verso la cesta: così almeno hanno poi riferito testimoni.
5.
Per far le cose bene Defendente Sapori si mise alla posta dall'altra parte della strada, sotto un portone, con la bicicletta e il fucile da caccia: la bicicletta per inseguire la bestia, la doppietta per ammazzarla se avesse constatato che non esisteva un padrone a cui poter chiedere indennizzo. Gli doleva solo il pensiero che quel mattino la cesta sarebbe stata vuotata a esclusivo beneficio dei poveri. Da che parte e in che modo venne il cane? Proprio un mistero. Il fornaio, che pur stava con gli occhi spalancati, non riuscì ad avvistarlo. Lo scorse più tardi che usciva placido, la pagnotta tra i denti. Dal cortile giungevano echi di alte risate Defendente aspettò che l'animale si allontanasse un poco, per non metterlo in allarme. Poi balzò sul sellino e dietro. Il fornaio si aspettava, come prima ipotesi, che il cane si fermasse poco dopo a divorare la pagnotta. Il cane non si fermò. Aveva anche immaginato che, dopo breve cammino, si infilasse nella porta di una casa. E invece niente. Il suo pane tra i denti, la bestia trotterellava lungo i muri con passo regolare né mai sostava per annusare, o fare la piscia, o curiosare come è abitudine dei cani. Dove dunque si sarebbe fermato? Il Sapori guardava il cielo grigio. Niente da meravigliarsi se si fosse messo a piovere. Passarono la piazzetta di Sant'Agnese, passarono le scuole elementari, la stazione, il lavatoio pubblico. Ormai erano ai margini del paese. Si lasciarono finalmente alle spalle anche il campo sportivo e si inoltrarono nella campagna. Da quando era uscito dal cortile, il cane non si era mai voltato indietro. Forse ignorava di essere inseguito. Ormai c'era da abbandonare la speranza che l'animale avesse un padrone che potesse rispondere per lui. Era proprio un cane randagio, una di quelle bestiacce che infestano le aie dei contadini, rubano i polli, addentano i vitelli, spaventano le vecchie e poi finiscono in città a diffondere sporche malattie. Forse l'unica era di sparargli. Ma per sparargli occorreva fermarsi, scendere di bicicletta, togliersi la doppietta di spalla. Tanto bastava perché la bestia, pur senza accelerare il passo, si mettesse fuori tiro. Il Sapori continuò l'inseguimento.
6.
Cammina cammina, ecco che cominciano i boschi. Il cane zampetta via per una strada laterale e poi in un'altra ancora più stretta ma liscia ed agevole. Quanta strada hanno già percorsa? Forse otto, nove chilometri. E perché il cane non si ferma a mangiare? Che cosa aspetta? Oppure porta il pane a qualcuno? Quand'ecco, il terreno facendosi sempre più ripido, il cane svolta in un sentierino e la bicicletta non può più proseguire. Per fortuna anche la bestia, per la forte pendenza, rallenta un poco il passo. Defendente balza dal velocipede e continua l'inseguimento a piedi. Ma il cane a mano a mano lo distanzia. Già esasperato, sta per tentare una schioppettata quando, in cima a un arido declivo, vede un grande macigno: sopra il macigno è inginocchiato un uomo. E allora gli torna alla mente l'eremita, le luci notturne, tutte quelle ridicole fandonie. Il cane trotterella placido su per il magro prato. Defendente, il fucile già in mano, si ferma a una cinquantina di metri. Vede l'eremita interrompere la preghiera e calarsi giù dal macigno con singolare agilità verso il cane che scodinzo1a e gli depone il pane ai pledi. Raccolta da terra la pagnotta, l'eremita ne spicca un pezzettino e lo ripone in una bisaccia che porta a tracolla. Il resto lo restituisce al cane con un sorriso. L'anacoreta è piccolo e segaligno, vestito con una specie di saio; la faccia si mostra simpatica, non priva di una astuzia fanciullesca. Allora il fornaio si fa avanti, deciso a far valere le sue ragioni. " Benvenuto, fratello" lo previene Silvestro, vedendolo avvicinare, " Come mai da queste parti? Sei forse in giro per caccia?" " A dir la verità " risponde duro il Sapori " andavo a caccia di... di una certa bestiaccia che ogni giorno... " " Ah, sei tu? " lo interrompe il vecchio. " Sei tu che mi procuri ogni giorno questo buon pane?... un pane da signori questo... un lusso che non sapevo di meritare!... " " Buono? Sfido che è buono! Fresco tolto dal forno... il mio mestiere lo conosco, caro il mio signore... ma non è fatto per rubare il mio pane! " Silvestro abbassa il capo fissando l'erba: " Capisco " dice con una certa tristezza. " Tu hai ragione di lamentarti, ma io non sapevo... Vuol dire che Galeone non andrà più in paese... lo terrò sempre qui con me... anche un cane non deve avere rimorsi... Non verrà più, te lo prometto. " " Oh be' " dice il fornaio un poco calmato " quand'è così può anche venire il cane. C'è una maledetta faccenda di testamento, e io sono obbligato a buttar via ogni giorno cinquanta chili di pane... ai poveri devo darli, a quei bastardi senza arte né parte... Anche se una pagnotta verrà a finire quassù.., povero più povero meno... " " Dio te ne renderà merito, fratello... Testamento o no, tu fai opera di misericordia. " " Ma ne farei molto volentieri a meno. " " Lo so perché parli così... C'è in voi uomini, una specie di vergogna... ci tenete a mostrarvi cattivi, peggio di quello che siete, così va il mondo! " Ma le parolacce che Defendente si è preparato in corpo non vengono fuori. Sia imbarazzo, sia delusione, non gli riesce di arrabbiarsi. L'idea di essere il primo e il solo in tutta la contrada ad aver avvicinato l'eremita lo lusinga. Sì, egli pensa, un eremita è quello che è: non c'è da cavarci niente di buono. Chi può tuttavia prevedere il futuro? Se lui facesse una segreta amicizia con Silvestro, chissà che un giorno non gliene verrà vantaggio. Per esempio immagina che il vecchio compia un miracolo, allora il popolino si infatua di lui, dalla grande città arrivano monsignori e prelati, si organizzano cerimonie, processioni e sagre. E lui, Defendente Sapori, prediletto dal nuovo santo, invidiato da tutto il paese, fatto per esempio sindaco. Perché no, in fin dei conti? Silvestro allora: " Che bel fucile che hai! " dice e non senza garbo glielo toglie di mano. In quest'attimo, e Defendente non capisce perché, parte un colpo che fa rintronare la valle. Lo schioppo però non sfugge di mano all'eremita. "Non hai paura " dice questi " a girare col fucile carico? " Il fornaio lo sguarda insospettito: " Non sono mica più un ragazzetto! ". " Ed è vero " prosegue subito Silvestro, restituendogli il fucile " è vero che non è impossibile trovar posto, la domenica, nella parrocchiale di Tis? Ho sentito dire che non è proprio stipata. " "Ma se è vuota come il palmo della mano " fa con aperta soddisfazione il fornaio. Poi si corregge: " Eh, siamo in pochi a tener duro! ". " E a messa, quanti sarete di solito a messa? Tu e quanti altri? " "Una trentina direi, nelle domeniche buone, si arriverà a cinquanta per Natale. " " E dimmi, a Tis si bestemmia volentieri? " " Per Cristo se si bestemmia. Non si fanno pregar davvero a tirar moccoli. " L'eremita lo guarda e scuote il capo: " Ci credono pochetto dunque a Dio, si direbbe. " " Pochetto? " insiste Defendente sogghignando dentro di sé. " Una manica di eretici sono... " " E i tuoi figli? Li manderai bene in chiesa i tuoi figli... " "Cristo se ce li mando! Battesimo, cresima, prima e seconda comunione! " " Davvero ? Anche la seconda? " " Anche la seconda, si capisce. Il mio più piccolo l'ha... " ma qui si interrompe al vago dubbio di averla detta grossa. " Sei dunque un ottimo padre " commenta grave l'eremita (ma perché sorride così?). " Torna a trovarmi, fratello. Ed ora va con Dio " e fa un piccolo gesto come per benedire. Defendente è colto alla sprovvista, non sa cosa rispondere. Prima che se ne sia reso conto, ha abbassato lievemente il capo facendosi il segno della Croce. Per fortuna non c'è nessun testimone, eccezion fatta del cane.
7.
L'alleanza segreta con l'eremita era una bella cosa, ma solo fin tanto che il fornaio si perdeva nei sogni che lo portavano alla carica di sindaco. In realtà c'era da tenere gli occhi bene aperti. Già la distribuzione del pane ai poveri lo aveva screditato, sia pure senza sua colpa, agli occhi dei compaesani. Se ora fossero venuti a sapere che si era fatto il segno della Croce! Nessuno, grazie al cielo, pareva si fosse accorto della sua passeggiata, neppure i garzoni del forno. Ma ne era poi sicuro? E la faccenda del cane come sistemarla? La pagnotta quotidiana non si poteva più decentemente rifiutargliela. Non però sotto gli sguardi dei mendicanti che ne avrebbero fatto una favola. Proprio per questo il giorno dopo, prima che spuntasse il sole, Defendente si appostò vicino a casa sulla strada che menava alle colline. E come Galeone comparve, lo richiamò con un fischio. Il cane, riconosciutolo, si avvicinò. Allora il fornaio, tenendo in mano la pagnotta, lo trasse a una baracchetta di legno, adiacente al forno, che serviva di deposito per la legna. Qui, sotto una panca, egli depose il pane, ad indicare che in avvenire la bestia doveva ritirare qui il suo cibo. Venne infatti il cane Galeone, il giorno dopo, a prendere il pane sotto la panca convenuta. E Defendente neppure lo vide, né lo videro i pezzenti. Il fornaio andava ogni giorno a deporre la pagnotta nella baracchetta di legno che il sole non si era ancora levato. Ugualmente il cane dell'eremita, ora che avanzava l'autunno e le giornate si accorciavano, si confondeva facilmente con le ombre del crepuscolo mattutino. Defendente Sapori viveva così abbastanza tranquillo e poteva dedicarsi al recupero del pane destinato ai poveri, attraverso lo sportellino segreto della cesta.
8.
Passarono le settimane e i mesi finché arrivò l'inverno coi fiori di gelo alle finestre, i camini che fumavano tutto il giorno, la gente imbacuccata, qualche passeretto stecchito in sul far del mattino ai piedi della siepe e una cappa leggera di neve sulle colline. Una notte di ghiaccio e di stelle, là verso nord, in direzione della antica cappella abbandonata, furono scorte grandi luci bianche come non erano state viste mai. ci fu a Tis un certo allarme, gente che balzava dal letto, imposte che si aprivano, richiami da una casa all'altra e brusio nelle strade. Poi, quando si capì ch'era una delle solite luminarie di Silvestro, nient'altro che il lume di Dio venuto a salutare l'eremita, uomini e donne sprangarono le finestre e si rificcarono sotto le calde coperte, un po' delusi, imprecando al falso allarme. Il giorno dopo, portata non si seppe da chi, si sparse pigramente la voce che durante la notte il vecchio Silvestro era morto assiderato.
9.
Siccome il seppellimento era obbligatorio per legge, il becchino, un muratore e due manovali andarono a sotterrare l'eremita, accompagnati da don Tabià, il prevosto, che aveva sempre preferito ignorare la presenza dell'anacoreta entro i confini della sua parrocchia. Su una carretta tirata da un asinello fu caricata la cassa da morto. I cinque trovarono Silvestro disteso sulla neve, con le braccia in croce, le palpebre chiuse, proprio in atteggiamento da santo; e accanto a lui, seduto, il cane Galeone che piangeva. Il corpo fu messo nella cassa, quindi, recitate le preghiere, lo seppellirono sul posto, sotto alla superstite volta della cappella. Sopra il tumulo, una croce di legno. Poi don Tabià e gli altri tornarono, lasciando il cane raggomitolato sopra la tomba. Al paese nessuno chiese loro spiegazioni. Il cane non ricomparve. Al mattino dopo, quando andò a mettere la solita pagnotta sotto la panca, Defendente trovò ancora quella del giorno prima. Il dì successivo il pane era ancora là, un poco più secco, e le formiche avevano già cominciato a scavarvi cunicoli e gallerie. Passando invano i giorni, anche il Sapori finì per non pensarci più.
10.
Ma due settimane più tardi, mentre al caffè del Cigno il Sapori gioca a terziglio, col capomastro Lucioni e col cavalier Bernardis, un giovanotto, intento a guardare nella via, esclama: " To', quel cane! ". Defendente trasale e volge subito gli sguardi. Un cane, brutto e sparuto, avanza per la via, oscillando da una parte e dall'altra quasi avesse il capo storno. Sta morendo di fame. Il cane dell'eremita - quale il Sapori ricorda - è certo più grosso e vigoroso. Ma chissà come si può ridurre una bestia dopo due settimane di digiuno. Il fornaio ha l'impressione di riconoscerlo. Dopo essere rimasto lungamente a piangere sopra la tomba, la bestia forse ha ceduto alla fame e ha abbandonato il padrone per scendere a cercar cibo in paese. " Tra poco quello tira le cuoia " fa Defendente, ridacchiando, per mostrare la sua indifferenza. " Non vorrei fosse proprio lui " dice allora il Lucioni, con un sorriso ambiguo, chiudendo il ventaglio delle carte. " Lui chi? " " Non vorrei " dice il Lucioni " che fosse il cane dell'eremita. " Il cavalier Bernardis, tardo di comprendonio, si anima stranamente: " Ma io l'ho già vista questa bestia " dice. " L'ho proprio vista da queste parti. Mica sarà tua alle volte, Defendente? " " Mia? E come potrebbe essere mia? " " Non vorrei sbagliarmi " conferma il Bernardis " ma mi pare di averla vista dalle parti del tuo forno. " Il Sapori si sente a disagio. " Mah " dice " ne girano tanti di cani, potrebbe anche darsi, io certo non ricordo. " Il Lucioni assente col capo, gravemente, come parlando con se stesso. Poi: " Sì, sì, deve essere il cane dell'eremita. " " E perché poi " chiede il fornaio cercando di ridere " perché poi dovrebbe proprio essere quello dell'eremita? " "Corrisponde, capisci? Corrisponde la magrezza. Fa un po' il conto. è stato diversi giorni sopra la tomba, i cani fanno sempre così... Poi gli è venuto appetito... ed eccolo qui in paese... " Il fornaio tace. Intanto la bestia si guarda intorno e per un istante fissa, attraverso la vetrata del caffè, i tre uomini seduti. Il fornaio si soffia il naso. " Sì " dice il cavalier Bernardis "giurerei che l'ho già visto. Più di una volta l'ho visto, proprio dalle tue parti " e guarda il Sapori. " Sarà, sarà " fa il fornaio " io proprio non ricordo... " Il Lucioni ha un sorrisetto astuto: " Io già un cane simile non me lo terrei per tutto l'oro del mondo ". " Rabbioso? " chiede il Bernardis allarmato. " Tu pensi che sia rabbioso? " " Macché rabbioso! Ma a me non darebbe nessun affidamento un cane simile... un cane che ha visto Dio! " "Come che ha visto Dio?" "Non era il cane dell'eremita? Non era con lui quando venivano quelle luci? Lo sanno tutti, direi, che cos'erano quelle luci! E il cane non era con lui? Vuoi che non abbia visto? Vuoi che dormisse con uno spettacolo simile? " e ride di gusto. " Balle! " replica il cavaliere. " Chissà che cos'erano quelle luci. Altro che Dio! Anche stanotte c'erano... " " Stanotte dici? " fa Defendente con una vaga speranza. " Coi miei occhi le ho viste. Mica forti come una volta, però un bel chiaro lo facevano. " " Ma sei sicuro? Stanotte? " " Stanotte, perdio. Le stesse identiche di prima... Che dio vuoi che ci fosse questa notte? " Il Lucioni però ha una faccia oltremodo furba: " E chi ti dice, chi ti dice che i lumi di questa notte non fossero per lui? ". " Per lui chi? " " Per il cane, sicuro. Magari stavolta invece di Dio in persona era l'eremita, venuto giù dal paradiso. Lo vedeva là fermo sulla sua tomba, si sarà detto: ma guarda un po' il mio povero cane... E allora è sceso a dirgli di non pensarci più, che ormai aveva pianto abbastanza e che andasse a cercarsi una bistecca! " " Ma se è un cane di qui " insiste il cavalier Bernardis. " Parola che l'ho visto gironzare intorno al forno. "
11.
Defendente rincasa con una grande confusione in testa. Che antipatica faccenda. Più cerca di persuadersi che non è possibile, più si va convincendo che è proprio la bestia dell'eremita. Niente di preoccupante, certo. Ma lui adesso dovrà continuare a dargli ogni giorno la pagnotta? Pensa: se io gli taglio i viveri, il cane tornerà a rubare il pane nel cortile; e allora io come mi regolo? cacciarlo via a pedate? un cane che, volere o no, ha visto Dio? E che ne so io di questi misteri ? Non sono cose semplici. Prima di tutto: lo spirito dell'eremita è apparso davvero a Galeone la notte prima? E che cosa può avergli detto? Che lo abbia in qualche modo stregato? Magari adesso il cane capisce il linguaggio degli uomini, chi lo sa, un giorno o l'altro potrebbe mettersi a parlare anche lui. C'è da aspettarsi di tutto quando c'è di mezzo Dio, se ne sentono raccontare tante. E lui, Defendente, si è già coperto abbastanza di ridicolo. Se in giro adesso sapessero che lui ha di queste paure! Prima di rientrare in casa, il Sapori va a dare un'occhiata alla baracchetta della legna. Sotto la panca la pagnotta di quindici giorni prima non c'è più. Il cane dunque è venuto e se l'è portata via con formiche e tutto?
12.
Ma il giorno dopo il cane non venne a prendere il pane e neppure il terzo mattino. Era ciò che Defendente sperava. Morto Silvestro ogni illusione di poter sfruttare la sua amicizia era finita. In quanto al cane, meglio se ne stesse alla larga. Eppure quando il fornaio, nella baracchetta deserta, rivedeva la forma di pane che aspettava sola soletta, provava delusione. Restò ancora peggio quando - erano passati altri tre giorni - egli rivide Galeone. Il cane se n'andava, apparentemente annoiato, nell'aria fredda della piazza e non pareva più quello che si era visto attraverso i vetri del caffè. Ora stava bello dritto sulle gambe, non ciondolava più ed era sì ancora magro ma col pelo già meno ispido, le orecchie erte, la coda ben sollevata. Chi lo aveva nutrito? Il Sapori si guardò intorno. La gente passava indifferente, come se la bestia non esistesse neanche. Prima di mezzodì il fornaio depose un nuovo pane fresco, con una fetta di formaggio, sotto la solita panca. Il cane non si fece vivo. Di giorno in giorno Galeone era più florido; il suo pelo ricadeva liscio e compatto come ai cani dei signori. Qualcuno dunque si prendeva cura di lui; e forse parecchi contemporaneamente, ciascuno all'insaputa dell'altro, per scopi reconditi. Forse temevano la bestia che aveva visto troppe cose, forse speravano di comperare a buon mercato la grazia di Dio senza rischiare la baia dei compaesani. O addirittura l'intera Tis aveva il medesimo pensiero? E ciascuna casa, quando veniva la sera, tentava nel buio di attirare a sé l'animale per ingraziarselo con bocconi prelibati? Forse per questo Galeone non era venuto più a prendere la pagnotta; oggi probabilmente aveva di meglio. Ma nessuno ne parlava mai, anche l'argomento dell'eremita, se per caso affiorava, veniva subito lasciato cadere. E quando il cane compariva per la strada, gli sguardi trascorrevano via, quasi fosse uno dei tanti cani randagi che infestano tutti i paesi del mondo. E in silenzio il Sapori si rodeva come chi, avuta per prima un'idea geniale, si accorge che altri, più audaci di lui, se ne sono clandestinamente impadroniti e si preparano a trarne indebiti vantaggi.
13.
Avesse visto o no Dio, certo Galeone era un cane strano. Con compostezza pressoché umana girava di casa in casa, entrava nei cortili, nelle botteghe, nelle cucine, stava per interi minuti immobile osservando la gente. Poi se n'andava silenzioso. Che cosa c'era nascosto dietro quei due occhi buoni e malinconici? L'immagine del Creatore con ogni probabilità vi era entrata. Lasciandovi che cosa? Mani tremebonde offrivano alla bestia fette di torta e cosce di pollo. Galeone, già sazio, fissava negli occhi l'uomo, quasi a indovinare il suo pensiero. Allora l'uomo usciva dalla stanza, incapace di resistere. Ai cani petulanti e randagi in Tis non venivano somministrati che bastonate e calci. Con questo non si osava. A poco a poco si sentirono presi dentro a una specie di complotto ma non avevano il coraggio di parlarne. Vecchi amici si fissavano negli occhi, cercandovi invano una tacita confessione, ciascuno nella speranza di poter riconoscere un complice. Ma chi avrebbe parlato per primo? Soltanto il Lucioni, imperterrito, toccava senza ritegno l'argomento: " To' to'! ecco il nostro bravo cagnaccio che ha visto Dio! " annunciava sfrontatamente alla comparsa di Galeone. E ridacchiava fissando alternativamente le persone intorno con occhiate allusive. Gli altri per lo più si comportavanO come se non avessero capito. Chiedevano distratte spiegazioni, scuotevano il capo con aria di compatimento, dicevano: " Che storie! ma è ridicolo! superstizioni da donnette ". Tacere, o peggio unirsi alle risate del capomastro sarebbe stato compromettente. E liquidavano la cosa come uno stupido scherzo. Però, se c'era il cavalier Bernardis, la sua risposta era sempre quella: " Macché cane dell'eremita. Vi dico che è una bestia di qui. Sono anni che gira per Tis, lo vedevo tutti i santi giorni gironzare dalle parti del forno! ".
14.
Un giorno, sceso in cantina per la consueta operazione di recupero, Defendente, tolta la grata della finestrella stava per aprire lo sportellino della cesta del pane. Fuori nel cortile, si udivano le grida dei pezzenti in attesa, le voci della moglie e del garzone che cercavano di tenerli in riga. L'esperta mano del Sapori liberò la chiusura, lo sportellino si aprì, i pani cominciarono a scivolare rapidamente in un sacco. In quel mentre egli vide con la coda dell'occhio una cosa nera muoversi, nella penombra del sotterraneo. Si voltò di soprassalto. Era il cane. Fermo sulla porta della cantina, Galeone osservava la scena con placida imperturbabilità. Ma nella poca luce gli occhi del cane erano fosforescenti. Il Sapori restò di pietra. " Galeone, Galeone " cominciò a balbettare in tono carezzevole e manierato. " Su, buono, Galeone... qua, prendi! " E gli lanciò una pagnottella. Ma la bestia non la guardò neppure. Come se avesse visto abbastanza, si volse lentamente, avviandosi verso la scala. Rimasto solo, il fornaio uscì in orrende imprecazioni.
15.
Un cane ha visto Dio, ne ha sentito l'odore. Chissà quali misteri ha imparato. E gli uomini si guardano l'un l'altro come cercando un appoggio ma nessuno parla. Uno sta finalmente per aprir bocca: "E se fosse una mia fissazione?" si domanda. "Se gli altri non ci pensassero neppure?" E allora fa finta di niente. Galeone con straordinaria familiarità passa da un luogo a un altro, entra nelle osterie e nelle stalle. Quando meno ci se lo aspetta eccolo là in un angolo, immobile, che guarda fissamente e annusa. Anche di notte, quando tutti gli altri cani dormono, la sua sagoma appare all'improvviso contro il muro bianco, con quel suo caratteristico passo dinoccolato e in certo modo contadinesco. Non ha una casa? Non possiede una cuccia? Gli uomini non si sentono più soli, neppure quando sono in casa con porte sprangate. Tendono di continuo le orecchie: un fruscio sull'erba, di fuori: un cauto e soffice zampettare sui sassi della via, un latrato lontano. Buc buc buc, fa Galeone, un suono caratteristico. Non è rabbioso, né aspro, eppure attraversa l'intero paese. " Be', non fa niente, forse ho sbagliato io i conti " dice il sensale dopo avere litigato rabbiosamente con la moglie per due soldi. " Insomma, per questa volta te la voglio passar liscia. Alla prossima fili, però... " annuncia il Frigimelica, quello della fornace, rinunciando di colpo a licenziare il manovale. " Tutto sommato è una gran cara donna... " conclude inaspettatamente, in contrasto con quanto detto prima, la signora Biranze, in conversazione con la maestra, a proposito della moglie del sindaco. Buc buc buc, fa il cane randagio, e può darsi che abbai a un altro cane, a un'ombra, a una farfalla, o alla luna, non è però escluso che abbai a ragion veduta, quasi che attraverso i muri, le strade, la campagna, gli sia giunta la cattiveria umana. Nell'udire il rauco richiamo, gli ubriachi espulsi dall'osteria rettificano la posizione. Galeone compare inatteso nello sgabuzzino dove il ragionier Federici sta scrivendo una lettera anonima per avvertire il suo padrone, proprietario del pastificio, che il contabile Rossi ha rapporti con elementi sovversivi, "Ragioniere, che cosa stai scrivendo?" sembran dire i due occhi mansueti. Il Federici gli indica bonariamente la porta. " Su, bello, fuori, fuori! " e non osa profferire gli insulti che gli nascono nel cuore. Poi sta con l'orecchio all'uscio per assicurarsi che la bestia se ne sia andata. E poi, per maggior prudenza, butta la lettera nel fuoco. Compare, assolutamente per caso, ai piedi della scala di legno che porta all'appartamentino della bella sfrontata Flora. è già notte alta ma i gradini scricchiolano sotto i piedi di Guido, il giardiniere, padre di cinque figli. Due occhi dunque brillano nel buio. " Ma non è qui, accidenti! " esclama l'uomo a voce alta perché la bestia oda, quasi sinceramente irritato dal malinteso. " Col buio ci si sbaglia sempre... Non è questa la casa del notaio! " E ridiscende a precipizio. Oppure si ode il suo sommesso abbaiare, un dolce brontolio, a guisa di rimprovero, mentre Pinin e il Gionfa penetrati nottetempo nel ripostiglio del cantiere, hanno già messo mano su due biciclette. " Toni, c'è qualcuno che viene " sussurra Pinin in assoluta malafede. " Mi è parso anche a me " dice il Gionfa " meglio filare. " E scivolano via senza nulla di fatto. Oppure manda un lungo mugolio, una specie di lamento, proprio sotto i muri del forno all'ora giusta, dopo che Defendente, chiuse questa volta a doppia mandata porte e cancelletti dietro di sé, è disceso in cantina per fregare il pane dei poveri dalla cesta durante la distribuzione mattutina. Il fornaio allora stringe i denti: come fa a saperlo, quel cagnaccio della malora? E tenta di alzare le spalle. Ma poi gli vengono i sospetti: se in qualche modo Galeone lo denunciasse, tutta l'eredità andrebbe in fumo. Col sacco vuoto piegato sotto il braccio, Defendente risale in bottega. Quanto durerà la persecuzione? Il cane non se ne andrà mai più? E se resta in paese, quanti anni potrà ancora vivere? Oppure c'è il modo di toglierlo di mezzo?
16.
Fatto è che, dopo secoli di negligenza, la chiesa parrocchiale ricominciò a popolarsi. La domenica, a messa, vecchie amiche si incontravano. Ciascuna aveva la sua scusa pronta: "Sa che cosa le dico? Che con questo freddo l'unico posto dove si sta ben riparati è la chiesa. Ha i muri grossi, ecco la questione... il caldo che hanno immagazzinato d'estate, lo buttano fuori adesso! ". E un'altra: " Un benedetto uomo qui il prevosto, don Tabià... Mi ha promesso le sementi di tredescanzia giapponese, sa, quella bella gialla?... Ma non c'è verso.. Se non mi faccio vedere un po' in chiesa, lui duro, fa finta di essersi dimenticato... ". Un'altra ancora: " Capisce, signora Erminia? Voglio fare un entredeux di pizzo come quello là, dell'altare del Sacro Cuore. Portarmelo a casa da copiare non posso. Bisogna che venga qui a studiarmelo... Eh non è mica semplice! ". Ascoltavano, sorridendo, le spiegazioni delle amiche, preoccupate soltanto che la propria sembrasse abbastanza plausibile. Poi " Don Tabià ci guarda! " sussurravano come scolarette, concentrandosi sul libro da messa. Non una veniva senza scusa. La signora Ermelinda, per esempio, non aveva trovato altri, per fare insegnare il canto alla sua bambina, così appassionata di musica, che l'organista del duomo; e adesso veniva in chiesa per ascoltarla nel Magnificat. La stiratrice dava appuntamento in chiesa a sua mamma, che il marito non voleva vedere per casa. Perfino la moglie del dottore: proprio sulla piazza, pochi minuti prima, aveva messo un piede a terra malamente e si era fatta una storta; era dunque entrata per restare un poco seduta. In fondo alle navate laterali, presso i confessionali grigi di polvere, dove le ombre sono più fitte, stava qualche uomo impalato. Dal pulpito don Tabià si guardava intorno sbalordito, stentando a trovare le parole. Sul sagrato intanto Galeone stava disteso al sole: sembrava si concedesse un meritato riposo. All'uscita dalla messa, senza muovere un pelo, sbirciava tutta quella gente: le donne sgusciavano dalla porta, allontanandosi chi da una parte chi dall'altra. Nessuna che lo degnasse di un'occhiata, ma finché non avevano svoltato l'angolo si sentivano i suoi sguardi nella schiena come due punte di ferro.
17.
Anche l'ombra di un cane qualsiasi, basta che assomigli vagamente a Galeone, fa dare dei soprassalti. La vita è un'ansia. Là dove c'è un poco di gente, al mercato, al passeggio serale, mai il quadrupede manca; e pare si goda all'indifferenza assoluta di coloro che, quando son soli e in segreto lo chiamano invece coi nomi più affettuosi, gli offrono tortelli e zabaglione. " Eh, i bei tempi di una volta! " usano adesso esclamare gli uomini, così, genericamente, senza specificare il perché; e nessuno che non capisca al volo. I bei tempi - intendono dire senza specificarlo - quando si poteva fare i propri porci comodi, e darsene quattro se occorreva e andar per contadine in campagna, e magari rubacchiare, e la domenica starsene in letto fino a mezzodì. I bottegai adesso adoperano carte sottili e misurano il peso giusto, la padrona non picchia più la serva, Carmine Esposito dell'agenzia di pegni ha imballato tutte le sue cose per traslocare in città, il brigadiere Venariello se ne sta allungato al sole sulla panca, dinanzi alla stazione dei carabinieri morto di noia, domandandosi se i ladri sono tutti morti, e nessuno tira più le potenti bestemmie di prima, che davano così gusto, se non in aperta campagna e con le debite cautele, dopo attente ispezioni, che dietro alle siepi non si nasconda qualche cane. Ma chi osa ribellarsi? Chi ha il coraggio di prendere a pedate Galeone o di somministrargli una cotoletta all'arsenico come è nei segreti desideri di tutti? Neanche nella provvidenza possono sperare: la santa provvidenza, a rigor di logica, si deve essere schierata dalla parte di Galeone. Bisogna fare assegnamento sul caso. Sul caso di una notte tempestosa, con lampi e fulmini che pare finisca il mondo. Ma il fornaio Defendente Sapori ha un udito da lepre e lo strepito dei tuoni non gli impedisce di avvertire un tramestio insolito dabbasso in cortile. Devono essere i ladri. Balza dal letto, afferra nel buio lo schioppo e guarda giù attraverso le stecche delle persiane. Ci sono due tipi, gli par di vedere, che stan dandosi d'attorno per aprire la porta del magazzino. E al bagliore di una saetta vede anche, in mezzo al cortile, imperturbabile sotto i tremendi scrosci, un grosso cane nerastro. Deve essere lui, il maledetto, venuto forse a dissuadere i due bricconi. Bisbiglia dentro di sé una bestemmia spettacolosa, arma lo schioppo, dischiude lentamente le persiane, quel tanto da poter sporgere la canna. Aspetta un nuovo lampo e mira al cane. Il primo sparo va completamente confuso con un tuono. " Al ladro! al ladro! " comincia a urlare il fornaio, ricarica lo schioppo, spara ancora all'impazzata nel buio, ode allontanarsi dei passi affannosi, poi per tutta la casa voci e sbattere di porte: moglie, bambini e garzoni accorrono spaventati. " Sor Defendente " una voce chiama dal cortile " guardi che ha ammazzato un cane! " Galeone - sbagliarsi a questo mondo è possibile, specie in una notte come questa ma pare proprio lui tale e quale - giace stecchito in una pozza d'acqua: un pallottone gli ha attraversato la fronte. Morto secco. Non stira neppure le gambe. Ma Defendente non va neanche a vederlo. Lui scende a controllare che non abbiano scassinato la porta del magazzino, e, come ha constatato che no, dà a tutti la buona notte e si caccia sotto le coltri. "Finalmente" si dice preparandosi a un sonno beato. Ma non gli riesce più di chiuder occhio.
18.
Al mattino ch'era ancora buio due garzoni portarono via il cane morto e lo andarono a seppellire in un campo. Defendente non osò ordinar loro di tacere: si sarebbero messi in sospetto. Ma cercò in modo che la cosa passasse via liscia senza tante chiacchiere. Chi rivelò il fatto? La sera, il fornaio si accorse subito, al caffè, che tutti lo fissavano: ma subito ritiravano gli sguardi come per non metterlo in allarme. " Abbiamo sparato, eh stanotte? " fece il cavalier Bernardis all'improvviso, dopo i soliti saluti. " Battaglia grossa eh, stanotte, al forno? " " Chissà chi erano " rispose Defendente senza dare importanza " volevano scassinare il magazzino, quei malnati. Ladruncoli da poco. Ho sparato due colpi alla cieca e quelli se la sono battuta. " " Alla cieca? " chiese allora il Lucioni col suo tono insinuante. " E perché non gli hai sparato addosso già che c'eri? " " Con quel buio! Che cosa vuoi che vedessi! Ho sentito grattare giù alla porta e ho sparato fuori a casaccio. " " E così... e così hai spedito all'altro mondo una povera bestia che non aveva fatto niente di male. " " Ah, già " disse il fornaio quasi soprappensiero. " Ho beccato un cane. Chissà come era entrato. Da me non ci stanno cani. " Si fece un certo silenzio. Tutti lo guardavano. Il Trevaglia, cartolaio, mosse verso la porta per uscire. " Be', buonasera, signori " e poi, compitando intenzionalmente le sillabe. " Buonasera anche a lei, signor Sapori! " " Onoratissimo " rispose il fornaio e gli voltò le spalle. Che cosa intendeva dire quell'imbecille? Gli facevano colpa alle volte, di aver ammazzato il cane dell'eremita? Invece di essergli riconoscenti. Li aveva liberati da un incubo e adesso storcevano il naso. Che cosa li prendeva? Fossero stati sinceri una buona volta. Il Bernardis, singolarmente inopportuno, cercò di spiegare: " Vedi, Defendente?... qualcuno dice che avresti fatto meglio a non ammazzare quella bestia... " " E perché? L'ho fatto forse apposta? " " Appposta o no, vedi? era il cane dell'eremita, dicono, e adesso dicono che era meglio lasciarlo stare, dicono che ci menerà gramo... sai come sono le chiacchiere! " " E che ne so io dei cani degli eremiti? Cristo d'un Cristo, vorrebbero farmi il processo, idioti che non sono altro? " e tentò una risata. Parlò il Lucioni: " Calma, calma, ragazzi... Chi ha detto ch'era il cane dell'eremita? Chi ha diffuso questa balla? " Defendente: " Mah, se non lo sanno loro! " e alzò le spalle. Il cavaliere intervenne: " Lo dicono quelli che l'hanno visto questa mattina, mentre lo seppellivano... Dicono che sia proprio lui, con una macchiolina di pelo bianco in cima all'orecchio sinistro ". "Nero per il restante?" "Sì, nero" rispose uno dei presenti. " Piuttosto grosso? Con una coda a spazzo1a? " " Precisamente. " " Il cane dell'eremita, volete dire? " " Già, dell'eremita. " " E guardatelo là, allora il vostro cane! " esclamò il Lucioni, facendo segno alla via. " Se è più vivo e sano di prima! " Defendente si fece pallido come una statua di gesso. Col suo passo dinoccolato Galeone avanzava per la via, si fermò un istante a guardare gli uomini attraverso la vetrata del caffè, poi proseguì tranquillo,
19.
Perché i pezzenti, al mattino, hanno ora l'impressione di ricevere più pane del solito? Perché le cassette delle elemosine, rimaste per anni e anni senza un soldo, adesso tintinnano? Perché i bambini, finora recalcitranti, frequentano volentieri la scuola? Perché l'uva resta sulle piante fino alla vendemmia anziché essere depredata? Perché non tirano più sassi e zucche marce sulla gobba di Martino? Perché queste e tante altre cose? Nessuno lo confesserà, gli abitanti di Tis sono rustici ed emancipati, mai dalla loro bocca sentirete uscire la verità: che hanno paura di un cane, non di essere addentati, semplicemente hanno paura che il cane li giudichi male. Defendente divorava veleno. Era una schiavitù. Neanche di notte si riusciva a respirare. Che peso, la presenza di Dio per chi non la desidera. E Dio non era qui una favola incerta, non se ne stava appartato in chiesa fra ceri e incenso, ma girava su e giù per le case, trasportato, per dir così, da un cane. Un pezzettino piccolissimo di Creatore, un minimo fiato, era penetrato in Galeone e attraverso gli occhi di Galeone vedeva, giudicava, segnava in conto. Quando il cane sarebbe invecchiato? Se almeno avesse perso le forze e fosse rimasto quieto in un angolo. Immobilizzato dagli anni, non avrebbe più potuto dare noia. E gli anni infatti passarono, la chiesa era piena anche nei giorni feriali, le ragazze non andavano più lungo i portici, dopo mezzanotte, sghignazzando coi soldati. Defendente, sfasciatasi per l'uso la vecchia cesta, se ne procurò una nuova rinunciando ad aprirvi lo sportellino segreto (di sottrarre il pane dei poveri non avrebbe più avuto il coraggio, fin che Galeone era in giro). E il brigadiere Venariello ora si addormentava sulla soglia della stazione dei carabinieri, sprofondato in una poltrona di vimini. Passarono gli anni e il cane Galeone invecchiò, marciava sempre più lento e con andatura esageratamente dinoccolata finché un giorno gli capitò una specie di paralisi agli arti posteriori e non poté più camminare. Per sfortuna l'accidente lo colse in piazza, mentre dormicchiava sul muretto di fianco al Duomo, sotto al quale il terreno divallava ripido, tagliato da strade e stradette, fino al fiume. La posizione era privilegiata dal punto di vista igienico perché la bestia poteva sfogare i suoi bisogni corporali giù dal muro, verso lo scoscendimento erboso, senza imbrattare né il muro né la piazza. Era però una posizione scoperta, esposta ai venti e senza riparo dalla pioggia. Anche stavolta naturalmente nessuno fece mostra di notare il cane che, tremando tutto, mandava dei lamenti. Il malore di un cane randagio non era uno spettacolo edificante. I presenti, indovinando dai suoi penosi sforzi che cosa gli fosse accaduto, si sentirono però un tuffo al cuore, rianimati da nuove speranze. Il cane prima di tutto non avrebbe più potuto ciondolare intorno, non si sarebbe mosso più neanche di un metro. Meglio: chi gli avrebbe dato da mangiare sotto gli occhi di tutti? Chi per primo avrebbe osato confessare un rapporto segreto con la bestia? Chi per primo si sarebbe esposto al ridicolo? Di qui la speranza che Galeone potesse morire affamato. Prima di pranzo gli uomini passeggiarono al solito lungo il marciapiedi della piazza parlando di cose indifferenti come la nuova assistente del dentista, la caccia, il prezzo dei bossoli, l'ultimo film arrivato in paese. E sfioravano con le loro giacchette il muso del cane che, ansimando, pendeva un poco giù dal bordo del muro. Gli sguardi trascorrevano sopra la bestia inferma, rimirando meccanicamente il maestoso panorama del fiume, così bello al tramonto. Verso le otto, venuti alcuni nuvoloni da nord, cominciò a piovere e la piazza rimase deserta. Ma nel pieno della notte, sotto la pioggia insistente, ecco ombre sgusciare lungo le case come per una congiura delittuosa. Curve e furtive esse si avviano a rapidi balzi verso la piazza e qui, confuse alle tenebre dei portici e degli androni, aspettano l'occasione propizia. I lampioni a quest'ora mandano poca luce, lasciando vaste zone di buio. Quante sono le ombre? Forse decine. Portano da mangiare al cane ma ciascuno farebbe qualsiasi cosa pur di non essere riconosciuta. Il cane non dorme: a filo del muretto contro lo sfondo nero della valle, due punti verdi e fosforescenti; e di tanto in tanto un breve lamentoso ululato che riecheggia nella piazza. è una lunga manovra. Il volto nascosto da una sciarpa, il berretto da ciclista ben calato sulla fronte, uno finalmente si arrischia a raggiungere il cane. Nessuno esce dalle tenebre per riconoscerlo; tutti temono già troppo per sé. Uno dopo l'altro, a lunghi intervalli per evitare incontri, personaggi irriconoscibili depositano qualche cosa sul muretto del Duomo. E gli ululati cessano. Al mattino si trovò Galeone addormentato sotto una coperta impermeabile. Sul muro, accanto, si ammucchiava ogni ben di Dio: pane, formaggio, trance di carne, perfino uno scodellone pieno di latte.
20.
Paralizzato il cane, il paese credette di poter respirare ma fu breve illusione. Dal ciglio del muretto gli occhi della bestia dominavano gran parte dell'abitato. Almeno una buona metà di Tis si trovava sotto il suo controllo. E chi poteva sapere quanto fossero acuti i suoi sguardi? Anche nelle case periferiche sottratte alla vigilanza di Galeone, arrivava del resto la sua voce. E poi come adesso riprendere le abitudini di un tempo? Equivaleva ad ammettere che si era cambiata vita a motivo del cane, a confessare sconciamente il segreto superstizioso custodito con tanta cura per anni. Lo stesso Defendente, il cui forno era escluso dalla visuale della bestia, non riprese le sue famose bestemmie né ritentava le operazioni di recupero dalla finestrella della cantina. Galeone ora mangiava anche più di prima e, non facendo più moto, ingrassava come un porco. Chissà quanto sarebbe campato ancora. Coi primi freddi però rinacque la speranza che crepasse. Benché riparato dalla tela cerata, il cane era esposto ai venti e un cimurro poteva sempre prenderselo. Ma anche stavolta il maligno Lucioni rovinò ogni illusione. Una sera, in trattoria, raccontando una storia di caccia, disse che molti anni prima, per aver passato una notte sotto la neve, il suo bracco era diventato idrofobo; e aveva dovuto ucciderlo con una schioppettata; gli piangeva ancora il cuore al ricordo. " E quel cagnaccio " era sempre il cavalier Bernardis a toccare gli argomenti sgraditi " quel brutto cagnaccio con la paralisi, sul muretto del Duomo, che certi imbecilli continuano a rifornire, dico, non ci sarà mica il pericolo con questo cagnaccio? " " Ma che diventi pur rabbioso! " fece Defendente. " Tanto, non è più capace di muoversi! " " E chi te lo dice? " ribatté il Lucioni. " L'idrofobia moltiplica le forze. Non mi meraviglierei se cominciasse a saltare come un capriolo! " Il Bernardis restò interdetto: " Be', e allora ". " Ah, io per me, io me ne frego. Io me lo porto sempre dietro un amico sicuro " e il Lucioni trasse di tasca una pesante rivoltella. " Tu! tu! " fece il Bernardis, " Tu che non hai figli! Se tu avessi tre bambini come me, non te ne fregheresti, sta' sicuro. " " Io ve l'ho detto. Pensateci voi adesso! " Il capomastro lucidava sulla manica la canna della pistola.
21.
Quanti anni sono dunque passati dalla morte dell'eremita? Tre, quattro, cinque, chi se ne ricorda più? Ai primi di novembre il gabbiotto di legno per riparare il cane è quasi pronto. In termini molto spicci, trattandosi evidentemente di una faccenda di pochissimo conto, se ne è parlato anche in sede di consiglio comunale. E nessuno che abbia avanzato la proposta, molto più semplice, di ammazzare la bestia o trasportarla altrove. Il falegname Stefano è stato incaricato di costruire la cuccia in modo che possa essere fissata sopra il muretto, verniciata in rosso affinché non stoni col colore della facciata del Duomo, tutta in mattoni vivi. " Che indecenza, che stupidità! " dicono tutti a dimostrare che l'idea è degli altri. La paura per il cane che ha visto Dio non è più dunque un segreto? Ma il gabbiotto non sarà mai collocato in opera. Ai primi di novembre un garzone del fornaio che alle 4 del mattino per recarsi al lavoro passa sempre per la piazza avvista ai piedi del muretto una cosa immobile e nera. Si avvicina tocca, vola di corsa fino al forno. " E che succede adesso? " chiede Defendente, vedendolo entrare tutto affannato. " è morto! è morto! " balbetta ansando il ragazzo. " Chi è morto? " " Quel cane della malora... l'ho trovato per terra, era duro come un sasso! "
22.
Respirarono? Si diedero alla pazza gioia? Quell'incomodo pezzetto di Dio se n'era finalmente andato, è vero, ma troppo tempo c'era ormai di mezzo. Come tornare indietro? Come ricominciare da capo? In quegli anni i giovani avevano già preso abitudini diverse. La messa della domenica dopo tutto era uno svago. E anche le bestemmie, chissà come, davano adesso un suono esagerato e falso. Si era previsto insomma un gran sollievo e invece niente. E poi: se si fossero riprese le libere costumanze di prima non era come confessare tutto quanto? Tanta fatica per tenerla nascosta, e adesso metter fuori la vergogna al sole? Un paese che aveva cambiato vita per rispetto di un cane! Ne avrebbero riso fin di là dei confini. E intanto: dove seppellire la bestia? Nel giardino pubblico. No, no, mai nel cuore del paese, la gente ne aveva avuto abbastanza. Nella fogna. Gli uomini si guardarono l'un l'altro, nessuno osava pronunciarsi. " Il regolamento non lo contempla " notò alla fine il segretario comunale, togliendoli dall'imbarazzo. Cremarlo nella fornace? E se poi avesse provocato infezioni? Sotterrarlo allora in campagna, ecco la soluzione giusta. Ma in quale campagna? Chi avrebbe acconsentito? Già cominciavano a questionare, nessuno voleva il cane morto nei propri fondi. E se lo si fosse sepolto vicino all'eremita? Chiuso in una piccola cassettina, il cane che aveva visto Dio viene dunque caricato sopra una carretta e parte verso le colline. è una domenica e parecchi ne prendono pretesto per fare una gita. Sei, sette carrozze cariche di uomini e donne seguono la cassettina, e la gente si sforza di essere allegra. Certo, benché il sole splenda, i campi già infreddoliti e gli alberi senza foglie non fanno un gran bel vedere. Arrivano alla collinetta, discendono di carrozza, si avviano a piedi verso i ruderi dell'antica cappella. I bambini corrono avanti. " Mamma! mamma! " si ode gridare di lassù. " Presto! Venite a vedere! " Affrettano il passo, raggiungono la tomba di Silvestro. Da quel giorno lontano dei funerali nessuno è mai tornato quassù. Ai piedi della croce di legno, proprio sopra il tumulo dell'eremita, giace un piccolo scheletro. Nevi, venti e piogge lo hanno tutto logorato, lo han fatto gracile e bianco come una filigrana. Lo scheletro di un cane.

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