Babylon
[...] Nel momento in cui la persona osservava il televisore spento, il movimento dei suoi occhi e il flusso della sua attenzione erano diretti dai propri impulsi volontari, fossero pure caotici. Lo schermo nero senza immagini non vi esercitava alcuna influenza, o se lo faceva era solo in qualità di sfondo.
Il televisore acceso non trasmette praticamente mai un’inquadratura statica presa da un’unica telecamera fissa, ragion per cui l’immagine nello schermo non costituisce mai uno sfondo. Al contrario, questa immagine cambia freneticamente. Ogni pochi secondi si verifica un cambio d’inquadratura, o una dissolvenza su un altro oggetto, o un passaggio a un’altra telecamera: l’immagine è ininterrottamente modificata dal cameraman e dal regista che lo dirige. Tale cambiamento dell’immagine prende il nome di “tecnomodificazione”.
A questo punto chiediamo di prestare la massima attenzione, dato che il seguente enunciato è piuttosto complesso da afferrare, nonostante sia estremamente semplice nella sostanza. Inoltre potrebbe sorgere il dubbio che si stia parlando di qualcosa di insignificante. Abbiamo l’ardire di affermare che si tratta del fenomeno psichico in assoluto più importante della fine del secondo millennio.
Il cambiamento d’immagine sullo schermo, in quanto risultato di diverse tecnomodificazioni, può essere assimilato a un immaginario processo psichico in cui l’osservatore sia costretto a sintonizzare la propria attenzione ora su un avvenimento ora sull’altro e a selezionare il contenuto più interessante di ciò che accade, ovverosia a guidare la propria attenzione così come fa per lui lo staff di regia. Da questo processo psichico scaturisce un soggetto virtuale che durante la trasmissione televisiva esiste al posto della persona, scivolando nella sua coscienza come la mano in un guanto di gomma.
È una condizione simile allo stato di coscienza di chi è posseduto da uno spirito: la differenza sta nel fatto che in questo caso lo spirito non esiste. Esistono solo i sintomi della possessione. È uno spirito immaginario, ma nel momento in cui il telespettatore si affida allo staff di regia, che dirige come gli pare e piace la sua attenzione da oggetto a oggetto, è come se fosse diventato egli stesso questo spirito, uno spirito che in realtà non esiste ma che possiede lui e milioni di altri telespettatori.
La definizione più appropriata del fenomeno è quella di “esperienza di inesistenza collettiva”, dal momento che il soggetto virtuale che rimpiazza la coscienza vera e propria dello spettatore è assolutamente inesistente: si riduce al mero effetto indotto dal risultato finale degli sforzi collettivi di montatori, cameramen e regista. D’altro canto per la persona che guarda il televisore nulla è più reale di questo soggetto virtuale.
[...] Da: Babylon - di Viktor Pelevin ( Mondadori 1999)
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