Le donne stiano zitte quando sono in chiesa

Breve storia dei cantanti castrati

Si chiamano generalmente castrati i cantanti maschi che avevano subìto la castrazione prima della pubertà, allo scopo di mantenere la voce acuta in età adulta. Il termine è sinonimo di evirato ed eunuco, sebbene la castrazione in passato potesse essere praticata senza fini canori, ma solo per provocare l'impotenza sessuale.
La parola “castrato”, per il significato spregevole che poteva assumere, fu spesso sostituita da altre locuzioni, come “cantori evirati”, “musici” o “soprani naturali”. I cantori evirati divennero in alcuni casi veri e propri fenomeni e furono impiegati da molti operistie compositori soprattutto nel XVII e XVIII secolo, sino al XIX secolo.
La castrazione in seguito cadde in disuso e la Chiesa bandì definitivamente questi artisti, che sino al Novecento avevano prestato servizio come cantori nelle cappelle musicali.
La castrazione umana ha una lunga storia, di molto precedente all'operazione per fini musicali.
In passato, oltre che come forma di punizione corporale e di tortura, in alcune culture la castrazione umana veniva praticata nei maschi al fine di originare eunuchi o castrati.
Tornando all'operazione per fini musicali,
La castrazione trae origine dal versetto di San Paolo (I Corinzi, XIV, 34) “mulieres in ecclesia taceant”: “le donne stiano zitte quando sono in chiesa”. Il precetto fu interpretato non solo come un divieto per le donne a partecipare al rito attraverso le letture, ma anche un divieto di cantare nel coro. Perciò se si volevano introdurre nel coro religioso delle voci acute si poteva ricorrere ai bambini, ai falsettisti, oppure ai castrati.
Nel secolo XVIII la castrazione a scopi musicali ebbe un impulso notevole per motivi d'affari: con il diffondersi dei cori polifonici, si aveva un sempre maggiore bisogno di voci bianche. Dato che una bolla pontificia vietava l'inserimento delle donne nei cori, si preferiva castrare i fanciulli di circa otto - dieci anni per impedire la muta vocale e fare in modo che mantenessero la capacità di cantare con voce infantile. Asportando chirurgicamente i testicoli, la mancata produzione di testosterone faceva sì che la voce mantenesse quel timbro anche da adulti. Ogni anno circa 4.000 ragazzi europei venivano castrati, soprattutto in Italia. Il medico fiorentino Antonio Santarelli, specialista in castrazioni, era tra i chirurghi meglio pagati dell'epoca.
Molti dei ragazzi, futuri castrati, erano orfani, o provenivano da famiglie povere che facevano verificare ad un maestro di cappella o a un organista se il ragazzo avesse il talento e la voce per essere sottoposto all'operazione, nella speranza che potessero raggiungere il successo e progredire nella scala sociale (questo fu il caso, ad esempio, di Senesino). A volte era la famiglia che procedeva direttamente a far castrare il ragazzo, altre volte provvedeva il conservatorio.
Il musicista e storico inglese Charles Burney si dedicò alla ricerca dei luoghi dove si praticava l'intervento per ‘migliorare’ i giovani predestinati, ma non ne trovò: “Indagai attraverso l'Italia in quale posto prevalentemente i ragazzi fossero scelti per cantare tramite castrazione, ma non ne potei avere un'informazione sicura. Mi venne detto a Milano che era a Venezia; a Venezia che era a Bologna; ma a Bologna negarono, e venni indirizzato a Firenze; da Firenze a Roma, e da Roma venni mandato a Napoli… Si dice che vi siano botteghe a Napoli con questa insegna: QUI SI CASTRANO RAGAZZI; ma io non fui in grado di vedere o di sentir parlare di alcuna di queste botteghe durante la mia permanenza in quella città”.
In effetti, sappiamo che la maggior parte delle castrazioni avvenivano nello Stato Pontificio e nel Regno di Napoli.
Il più celebre dei cantanti castrati è stato Carlo Broschi, in arte Farinelli. Alessandro Moreschi invece fu l'ultimo evirato nella storia della musica: solista nel coro che si esibiva presso la Cappella Sistina in Vaticano, cantò anche al funerale del re Umberto I. Fu congedato per pensionamento nel 1913, dopo che nel 1902 ci fu l'estromissione formale dei castrati da parte della Chiesa.
La castrazione veniva praticata con una profonda incisione all'inguine (aîne in francese), dalla quale erano estratti il cordone e i testicoli. I cordoni venivano strettamente legati prima del taglio e talvolta cauterizzati per evitare mortali emorragie dalle arterie spermatiche. A operare venivano chiamati soprattutto i norcini (macellai specializzati nella lavorazione del maiale) e i barbieri. All'epoca non esisteva anestesia; al più si stordiva il ragazzo con del laudano, tintura di oppio. La mancanza di asepsi provocava infezioni, anche di tetano, che si credeva derivassero dalle sofferenze causate dall'intervento.

Fabio Casalini

Bibliografia

Giuseppina Giacomazzi, Voci bianche fra '600 e '700 in Voci bianche e aspetti del mondo musicale europeo fra '600 e '700, Città di Castello, LuoghInteriori, 2019

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