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Se la politica negli ultimi anni sembra aver abdicato su temi come il rispetto dell’ambiente e la lotta contro i cambiamenti climatici, a causa delle elezioni di personaggi che definire discutibili è dir poco, per fortuna nel mondo della cultura, dell’arte, della musica, del cinema e del teatro, sembra che queste tematiche stiano ancora a cuore a molti autori, artisti, musicisti, sceneggiatori, registi. “Works and Days” è infatti un raffinatissimo spettacolo teatrale, diciamo un’azione scenica, del collettivo teatrale belga “FC Bergman” (Stef Aerts, Joé Agemans, Thomas Verstraeten, Marie Vinck), andato in scena giovedì scorso al Teatro Strehler di Milano. La fonte di ispirazione della singolare pièce è Esiodo, in particolare il poema “Le opere e i giorni” (del 700 a. C.) nei quali il poeta (in polemica con il fratello indolente e sperperone) ritma il passare del tempo facendolo scandire dalle primordiali attività umane: coltivare la terra, ma anche con le attività a cui l’uomo è costretto dopo aver perso il favore degli dei, tipo costruirsi un giaciglio, badare agli armenti, ma anche coi riti della vita, sacrificare, procreare, giocare. La lettura di Esiodo fatta dal collettivo Bergman, però non è solo ingenuo-mitologica ed arcadica. Quando nel mondo agro-pastorale irrompe la tecnologia, la macchina, in fondo nient’altro che Prometeo, la scena della macchina immaginaria color rame e con un simbolico ingranaggio rotante, cavalcata da un umano nella sua virginale nudità, in un cielo cupo e fumigante, quasi fosse il carro di Fetonte lanciato verso il cielo, rimane certamente una delle più belle suggestioni viste a teatro negli ultimi anni. Così come la pioggia (acida?) ostile che il cielo sembra mandare come maledizione agli umani che si ostinano ad arare un terreno sempre più infecondo, è una visione degna delle più belle messe in scena del teatro contemporaneo, non di parola (e vien subito da pensare a Bob Wilson). Certo il teatro del collettivo FC Bergman produce qualcosa in più e qualcosa in meno del teatro. In “Works and Days” la parola è completamente assente e lo spettacolo sembra essere un qualcosa di più vicino ad una sacra rappresentazione che non ad un canovaccio drammaturgico. A commentare quanto avviene sul palco due musicisti, Joachim Badenhorst e Sean Carpio che si cimentano in una versione per così dire destrutturata delle “Quattro stagioni” di Antonio Vivaldi; quale scelta migliore per il tema trattato? La musica segue la linea narrativa dello spettacolo, anche se Vivaldi è quasi del tutto irriconoscibile. Flauti, campane, clarinetti, sassofoni, tubi di gomma, se da un lato rendono arduo riconoscere la linea melodica, creano un’atmosfera sonora assolutamente in linea con la rappresentazione. Una parabola amara quella di questi umani della notte dei tempi, fortemente ancorati in un tempo passato e perennemente agenti in un tempo presente, ma senza certezza e magari nemmeno speranza di poter vivere un tempo futuro. Un teatro fortemente politico quello del Collettivo belga, politico nel senso più nobile del termine (come solo dovrebbe essere la politica), dove si sente l’eco lontano (ma non troppo) delle grandi visoni teatrali di Jan Fabre.
Lo spettacolo è una co-produzione di Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e Les Théâtres de la Ville de Luxembourg.
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