Come insegnare la letteratura a scuola?

Tutto questo non è sbagliato in sé: che male c’è a sapere cos’è un’anadiplosi? Ma diventa sbagliato se mette nella testa degli studenti la convinzione che i romanzi, i saggi, le poesie (soprattutto le poesie!) non siano dei messaggi che qualcuno ci ha spedito anni o secoli fa, messaggi che vanno ascoltati, compresi, giudicati, apprezzati per la loro bellezza o verità, ma degli strani, minacciosi marchingegni di cui importa soprattutto smontare gli ingranaggi per vedere come sono fatti dentro. Somiglia un po’ alla sindrome descritta (con compiacimento, ahimè, non con preoccupazione) da Carlo Levi in Il futuro ha un cuore antico, quando racconta di una sua conferenza a Mosca e del commento di un giovane lettore sovietico di Cristo si è fermato a Eboli: “Non gli riesce ancora, dice, di inquadrarlo bene, di sistemarlo come ‘genere letterario’: la sua ‘fabula’ è semplice, le idee nascono direttamente dalle vicende, sono raccontate con sinteticità: gli stessi caratteri che egli ha riscontrato nei film italiani. Questo è molto bene. Si riserva di studiarne meglio ‘l’officina’. Lo rileggerà e lo analizzerà a fondo, sistematicamente, per scoprirne l’interno meccanismo”. Ora, le “analisi sistematiche” volte a scoprire gli “interni meccanismi” raramente si concludono con l’ammissione che non c’era niente di interessante da scoprire: se c’è la domanda, ci sarà anche la risposta. Si fa strada, in questo modo, un’idea laboratoriale, alchemica della letteratura, l’idea per cui ogni minimo dettaglio diventa una traccia per decifrare chissà quale verità nascosta, e ogni inezia viene semantizzata. Naturalmente, il close reading è una giusta strategia, se mantenuta entro i limiti del ragionevole e se condotta da persone che abbiano letto molto, cioè che abbiano dimestichezza non con i metodi e il loro gergo, ma con i libri. Ma il close reading predicato agli adolescenti finisce per diventare un’istigazione al parlare a vanvera. Obbligati non a leggere ma ad analizzare, non ad analizzare ma ad analizzare in profondità i brani antologici, gli studenti vengono presi da una foga interpretativa che ricorda un po’ quella dei critici strutturalisti più ingenui e spiritati, quelli che, abbacinati da Jakobson, non chiudevano il libro finché non erano riusciti a semantizzare i fonemi, i punti e virgola.

 - Claudio Giunta - Internazionale

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