Oltretutto

Forse non è la cosa più sensata, da parte di uno scrittore che scrive soprattutto romanzi, confessare che gli sembra sempre molto strano non soltanto scriverne ma anche leggerne. Ci siamo abituati a questo genere ibrido e flessibile da almeno trecentonovant’anni, da quando nel 1605 uscì la prima parte del Chisciotte nella mia città natale, Madrid, e ci siamo così abituati che consideriamo normale il gesto di aprire un libro e di cominciare a leggere ciò che non ci si nasconde che è finzione, vale a dire qualcosa di non accaduto, che non ha avuto luogo nella realtà (…)
Perché continuiamo a leggere romanzi, e ad apprezzarli e a prenderli sul serio e persino a premiarli, in modo sempre meno ingenuo? (…)
Forse è vero piuttosto che i romanzi succedono per il fatto che esistono e vengono letti e, a ben vedere, con il passare del tempo ha assunto più realtà Don Chisciotte che qualunque altro dei suoi contemporanei storici della Spagna del XVII secolo; (…) Vi sono momenti in cui alzo lo sguardo dalla macchina da scrivere e mi estranio dal mondo da cui sto emergendo, e mi domando come, nella mia età adulta, possa dedicare tante ore e tanta fatica a qualcosa di cui il mondo, me compreso, potrebbe fare tranquillamente a meno. (…) Come, secondo la definizione dell’attività letteraria data dal romanziere e saggista e poeta Robert Louis Stevenson, possa starmene “a giocare in casa, come un bambino, con della carta”. Ogni scrittore è ancora di più lettore, e lo sarà sempre: abbiamo letto più libri di quello che potremo mai scrivere, e sappiamo che quell’interesse, quell’appassionarsi, è possibile perché lo abbiamo sperimentato centinaia di volte; e che talvolta comprendiamo meglio il mondo e noi stessi attraverso quelle figure fantasmali che percorrono i romanzi o quelle riflessioni fatte da una voce che sembra non appartenere del tutto all’autore nè al narratore, cioè, non del tutto a nessuno di loro. Scopriamo anche forse che scriviamo perchè alcune cose possiamo pensarle soltanto mentre lo facciamo, anche se quando a volte mi domandano, molto spesso, perchè scrivo, preferisco rispondere che lo faccio per non avere un capo e per non alzarmi presto. Oltretutto, credo che sia vero, molto più di quanto ho appena finito di dire.

Javier Marías

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