E la storia ci serve a questo

La descrizione che i mezzi di comunicazione di massa stanno dando della morte di Maria Paola Gaglione, deceduta in un incidente stradale causato dal fratello che non accettava la sua relazione con un ragazzo transessuale, è vergognosa. Non solo ripetutamente si usa una terminologia discriminatoria nei confronti di Ciro, il compagno di Maria Paola che viaggiava insieme a lei sul motorino speronato, negando di fatto le sue scelte di vita e la libertà che ogni essere umano ha di definire se stesso in ogni ambito della propria esistenza. Ma si continua anche a lasciare spazio a soggetti, direttamente o meno coinvolti nella vicenda, che negano come in questo paese ci sia un problema di transfobia. Nella scorsa settimana abbiamo assistito ad eventi terribili. Antonio, settantaquattro anni, operaio edile, è morto precipitando dall'impalcatura di un cantiere. L’ennesimo morto sul lavoro, una strage continua che è continuamente minimizzata e sottaciuta. Poi Willy, ucciso con violenza inaudita da chi brandiva una mentalità e un comportamento autoritari e intolleranti. Eppure si è cercato di spostare l’attenzione sulla movida, le palestre, le ragazze. Ora è il turno di Maria Paola e già si comincia a dire che la transfobia non c’entra nulla, che si è trattato di un caso fortuito, che il fratello non era mosso da odio verso Ciro ma dalla preoccupazione per lo stato economico della coppia. Come sempre si rifiutano tutte le analisi sistemiche che hanno la capacità di individuare nelle strutture economiche, culturali e sociali, nei rapporti di dominio, oppressione e sfruttamento le cause di questi fenomeni. Viceversa si derubrica a semplici casi di cronaca eventi che affondano le proprie radici in una lunga storia di supremazia violenta di una parte dell’umanità sull’altra. Ogni volta che muore un operaio ci si rifiuta di condannare un sistema economico criminale basato sullo sfruttamento esasperato dei lavoratori, sulla sperequazione delle risorse, sulla devastazione ambientale. Ogni volta che una donna viene uccisa si negano le radici culturali della violenza di genere. Ogni volta che c’è un episodio di intolleranza verso qualcuno per il colore della sua pelle o per il suo orientamento sessuale si fa spallucce, si parla di mele marce, si dice che sono casi isolati. Migliaia di casi isolati solo in Italia?

Di fronte a questo scempio abbiamo bisogno di costruire quella che noi abbiamo chiamato “la nazione degli oppressi”, una comunità inclusiva nella quale chiunque sia vittima di oppressione (per classe, genere, identità e orientamento sessuale, “etnia” e molto altro ancora) riconosca gli altri come individui sfruttati e discriminati da proteggere e sostenere, ma soprattutto fratelli e sorelle al cui fianco lottare per porre fine ad ogni forma di dominio.

E la storia ci serve a questo.

A ricordarci che gli oppressi divisi sono vittime sacrificali e che nessuno è veramente libero se non lo siamo tutti.

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