Una tazza di camomilla

Abitava in una baita sui monti della Valsolda con una cinquantina di pecore e qualche capra. Lo chiamavano Pinza per quelle mani forti come tenaglie, sorprendenti in un uomo piccolo e asciutto come lui. Quando scendeva in paese per far compere entrava al bar e chiedeva serio na tazza de camamela. La ragazza lo conosceva da anni e gli serviva un bicchiere da birra colmo raso di barbera. Lui lo portava alla bocca senza tremare per non sprecarne nemmeno una goccia e in tre sorsi lo beveva tutto. Nella sua baita il Pinza aveva adottato una dieta molto particolare: per pranzo due rosette e un bottiglione di barbera e per cena solo una rosetta e un altro bottiglione. Quell’anno, dicembre inoltrato, il Pinza si ammalò e dovettero ricoverarlo nell’ospedale di S. Mamete perchè viveva solo e nessuno avrebbe potuto curarlo a casa sua.

La vigilia di Natale Alberto, il veterinario della condotta di Valsolda, trovato un attimo di tempo fra i mille impegni, volle andarlo a trovare con un piccolo dono.
Il Pinza era sdraiato nel letto di corsia pallido come un lenzuolo, sudato e scosso da tremiti leggeri e continui. Non parlava e non rispose al saluto di Alberto.
Preoccupato Alberto fermò l’infermiera che passava indaffarata e le chiese cosa gli davano da mangiare.
- Le solite cose, dottore, ma non mangia.
- Vino?
- Scherza dottore? Non si può. È ammalato e sta malissimo.
Alberto corse fuori dall’ospedale e nel negozietto vicino comperò un bottiglione di barbera.
Ritornato dal Pinza gli sollevò la testa e adagio, adagio gli fece bere un primo bicchiere. Al secondo il Pinza stava già meglio e poteva parlare.
- Grazie dottore. Quando ho chiesto un bicchiere di barbera mi hanno portato una tazza di camomilla. Se non fossi stato così male mi sarei messo a ridere. Senza di lei sarei morto sicuro. Grazie ancora dottore. Grazie, grazie Non si fermava più e voleva baciare la mano all’imbarazzatissimo Alberto.
Il giorno dopo potè festeggiare Natale e l’infermiera finalmente gli permise ben due bicchieri di vino.
Era il suo ultimo Natale, lui lo sapeva ma era contento così.
Se andate in Valsolda, verso Natale, e nel bar di S. Mamete incontrate Alberto, questa storia ve la racconterà lui. Molto meglio del sottoscritto.

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