L’ aeroplano

Quando entri in un nuovo pensiero hai paura, Rob. Ti dici, ecco un altro pensiero che mi consumerà, che non potrò dire a nessuno. E questa cosa lo farà pesare di più, presto avrò un altro macigno da portare con me. Maledetta sensibilità, pensi, beata l’ignoranza. Non voglio capire, voglio solo essere lasciato in pace. Ogni volta è come cadere in un pozzo, e pensiero dopo pensiero il pozzo è diventato più profondo. E una volta di queste non sarò in grado di uscirne arrampicandomi verso l’uscita. Una volta di queste sarò stanco per la caduta e morirò in quel pensiero lì, nel fondo di quel pozzo.
E ti dicono, non pensarci. Ti dicono di goderti le cose belle, come se in quel pozzo di merda mi ci buttassi io. C’erano tempi in cui mi chiedeva cosa avessi, lei, e io le dicevo che erano pensieri miei, cattivi, e che non glieli volevo dire per non farla stare male. E lei non mi diceva di godermi la vita, di non pensarci. Sapeva che non c’entravo un cazzo, che nel pozzo ci cadevo e basta. Allora lei mi accarezzava, sopportando la mia sensibilità che percepiva anche un minimo granello di polvere. L’allergia al mondo, si può chiamare. Fottuta allergia. Ti ritrovi a pensare cose e a porti domande, a cui rispondi subito, ma non ne capisci il senso, il significato.

Non so piangere, per questo so scrivere bene. Quando imparerò a piangere dimenticherò come si scrive, e sinceramente non vedo l’ora. Perché ora, uscito dal pozzo, sono sporco e puzzo come il culo di un maiale. Quando mi sento sporco mi faccio una doccia, due. Strofino bene, ma non divento pulito. Perché lo sporco è dentro, non fuori. Dovrei vomitare. E’ capitato che mi facessi crescere i capelli così, senza un motivo particolare. Perché non capitava occasione di tagliarli. Poi, ho sempre provato a portarli lunghi, ma inevitabilmente dopo un po’ li tagliavo, sempre per lo stesso motivo. Cadevo nel pozzo, e dopo i capelli mi sembravano più pesanti, e di impulso li tagliavo, dovevo cacciarli via, diventare leggero per pensare cose tranquille e rilassarmi.

A te piacevo con i capelli lunghi, ma se li tagliavo non dicevi nulla. Nonostante tu non li tagliassi sapendo che mi piacevi così. Te sapevi che dire e che fare per farmi piacere, ma tutt’oggi non me ne spiego il motivo, di tutto quell’amore, di tutte quelle attenzioni. Ma soprattutto non mi spiego quando mi sopportavi nei miei momenti di pozzo, quando ero triste e incazzato senza che tu ne sapessi il motivo. Non te lo potevo dire, perché se no avrei macchiato il meraviglioso lenzuolo bianco quale eri. A volte mi chiedo se non sia questo il mio scopo. Quello di conoscere il lato peggiore del mondo per ometterlo nei miei scritti. Come fa l’adulto con i bambini. Inventerò parole come pupù, oppure imboccherò cose con il cucchiaio che fa l’aeroplano, per proteggere il mondo da sé stesso.

Roberto Dragone

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