La vita come il cactus

La pratica dice che per scrivere bene bisogna vivere, ma la teoria dice che appena vissuta una situazione è consigliabile lasciarla raffreddare prima di scriverci su. Un po’ come i pensieri scomodi, quando avremo un tormento tenderemo sempre a pensare ad altro, ed è così che funziona la scrittura: se io volessi parlare di una cosa, parlo d’altro. Di cazzate, se ci riesco. In fondo è una vittoria più grande rendere delle cazzate belle solo grazie al tuo stile, piuttosto che trasmettere qualcosa con un argomento che di per sé è emozionante. Tuttavia, questo metodo, per quanto sia consigliabile per quanto riguarda la scrittura, nuoce la salute se applicato ai propri pensieri. Ti ritrovi, infatti, migliaia di pensieri che non vorrai pensare perché immagini che possano farti del male. Quei migliaia però non sono nient’altro che un centinaio, e quel centinaio sono due pensieri che probabilmente sopravvaluti. E quindi alla tecnica che tutti consigliano, io aggiungo che è più sensato fare delle prove per capire che tipo di carattere abbiamo. Per esempio, io non dico mai cos’ho dentro, che è per tutti una cosa normale, ma a me è una cosa che spaventa terribilmente. La solitudine è infatti il pensiero, e a me, anche risultando un patetico cretino, mi è sempre piaciuto spingermi nel dire sempre cosa penso. Anche se questa sia una cosa scomoda, banale, ignorante, futile, anche se questa mi denudi delle mie sicurezze. Dico che voglio bene, dico alle persone che mi sono mancate, perché se non lo facessi avrei poi dei rimpianti su cui rimuginare – perché mi conosco, io rimugino su qualsiasi cazzo di cosa. E cavolo, sapete quante figure di merda, quante volte sono stato respinto, quanto volte ho dato un’impressione sbagliata, per questo mio carattere? Oh, voi non avete idea.
Ci sono anche cose che vorrei dire ma non posso, ovviamente. E sono forse quelle cose che consumano un essere umano – che andrà comunque a consumarsi, quindi tanto meglio concentrare la consumazione su un pensiero piuttosto che decine di pensieri diversi. Lettere che vorrei scrivere, parole che vorrei urlare, schiaffi che vorrei dare, e poi abbracci, carezze, e ancora parole, ma questa volta sussurrate. Ma resto fermo e non faccio nulla di tutto ciò, perché? E’ semplice: per le reazioni. Una delle mie migliori amiche la conobbi un giorno di sei anni fa mentre stavo vivendo un brutto periodo per colpa di una ragazza. Sapete cosa feci? Entrai in un forum di Avril Lavigne (allora ne ero fan) e scrissi alla prima email del primo profilo che mi capitò sotto il mouse. Così conobbi quella che oggi è una delle mie migliori amiche. In realtà è proprio bello raccontare di sé così, a una sconosciuta, senza che quella ti giudichi o parta prevenuta nei tuoi confronti. Ovviamente però ci sono delle parole che vorremmo che una persona in particolare leggesse, ovviamente. Io scrivo lettere, lunghe lettere, che poi strappo. Non funziona per nulla e dopo mi sento uguale a prima, ma sapere che sarei in grado di parlare di ciò che ho dentro mi fa sentire poco meglio. Quando strappo quelle lettere provo una sensazione bruttissima; capita di parlare con quella persona a cui hai scritto quella lettera strappata e non vedere in lei nessun cambiamento, o meglio: quella persona non ha letto la tua lettera e se per te sarà tutto più chiaro proprio grazie alla lettera (in cui hai dovuto razionalizzare qualche pensiero) vedrai invece in lei, ovviamente, nessun cambiamento, e quindi diventi un po’ triste. E’ una cosa stupidissima, ma mi è capitata spesso. Oppure capita l’inverso, quando parli a quella persona e sembra che lei abbia letto la tua lettera strappata. Chissà come. In più sembra che abbia capito il vero punto, quello che tu pensavi di non essere riuscito a trasmettere con le parole, e la vedi felice, mentre magari lei era felice per tutt’altro. Anche questa è una cosa stupidissima, va beh.

A volte ti senti completamente svuotato dal fatto che non riusciresti a dire cos’hai dentro neanche volendo, e se prima sapevi cosa avevi ma non volevi dirlo, ora non sai cos’hai e non sai dirlo. E’ una bella fregatura. Per questo motivo io faccio cose stupide ma senza perdere l’abitudine di parlare. Nella mia testa, mi chiedo sempre come reagirebbe un vecchio amico che non sento più a una determinata cosa, e paradossalmente quando scopro che è ciò che fa anche lui per tenersi in contatto con me, quando ci incontriamo e parliamo ci ridiamo su. E’ così, ci sono alcuni rapporti che devi annaffiare ogni giorno e coccolarli, e altri che come cactus riescono a sopravvivere per mesi senza che tu li annaffi. L’essere umano si consuma perché, a prescindere del tipo di rapporto, lui ha bisogno di essere annaffiato ogni giorno.

Roberto Dragone

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