L'infanzia dell'incantatore

... Il problema era questo: dai tredici anni in poi mi fu chiaro che volevo diventare o un poeta o niente. Ma con altrettanta chiarezza dovetti fare poco alla volta un'altra penosa constatazione. Diventare maestro, pastore, medico, artigiano,commerciante, impiegato postale, o anche musicista, oppure pittore o architetto, era possibile, per tutti i mestieri del mondo c'era una via, c'erano dei preliminari, una scuola, un tirocinio. Solo per i poeti mancava tutto questo! Era bensì permesso, anzi veniva considerato un onore, essere un poeta: cioè un poeta famoso e di successo, e per lo più purtroppo allora si era già morti. Ma diventare un poeta era impossibile, volerlo diventare era una cosa ridicola e vergognosa, come capii ben presto. Feci in fretta a trarre dalla situazione l'ovvio ammaestramento: poeta era qualcosa che si poteva essere ma non diventare. Inoltre: l'interessarsi della poesia e del proprio talento poetico rendeva sospetti agli occhi degli insegnanti, si veniva per questo da essi scherniti o ridicolizzati, a volte perfino mortalmente offesi. Per i poeti era come per gli eroi e per tutte le altre grandi e belle figure, per le aspirazioni magnanime e poco comuni: nel passato erano splendide, tutti i libri di scuola erano pieni delle loro lodi, ma nel presente, nella realtà li si odiava; e forse i maestri erano messi lì e istruiti apposta per evitare il più possibile che venissero in fama uomini liberi e magnifici e compissero azioni splendide e grandiose.

... Poi divenni libraio, per poter finalmente guadagnarmi il pane. Coi libri almeno ero in migliori rapporti che con la morsa e le ruote dentate che mi avevano fatto tribolare da meccanico. Dapprima l'immergermi nel nuovo e nel nuovissimo della letteratura, o meglio l'esserne sommerso, fu per me una gioia ebbra. Ma dopo un po' non mancai di osservare che nel campo della cultura il vivere nel puro presente, nel nuovo e nel nuovissimo, è insensato e insopportabile, che solo un continuo rapporto con ciò ch'è stato, con la storia, con l'antico e con l' antichissimo, rende possibile la vita dello spirito. Infatti per me, esaurita quella prima sete, fu una necessità dal mare delle cose nuove ritornare all'antico, e così feci, passando dal commercio dei libri nuovi all'antiquariato. Ma rimasi fedele a quella professione solo finche ne ebbi bisogno per campare la vita: quando a ventisei anni riportai il mio primo successo letterario, smisi anche quel lavoro.
Ora dunque, dopo tante tempeste e tanti sacrifici, la meta era raggiunta; ero infine, per quanto impossibile fosse sembrato il diventarlo, uno scrittore, e avevo vinto, o così pareva, la lunga tenace lotta col mondo. L'amarezza degli anni di scuola e di quelli della mia formazione, in cui ero stato spesso vicino a soccombere, ora potevo dimenticarla e sorriderne; anche parenti e amici, che avevano disperato di me, mi approvavano cordialmente. Avevo vinto, e quand'anche facessi la cosa più stupida e futile, ormai la trovavano incantevole; come del resto anch'io ero incantato di me stesso. Compresi solo allora in che orrendo isolamento, in che pericoloso ascetismo ero vissuto anno per anno; l'atmosfera calda di apprezzamento mi fece bene e cominciai a divenire un uomo soddisfatto.

Hermann Hesse: da "L'infanzia dell'incantatore" - Oscar Piccoli Saggi Mondadori, 1995

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