Scrivendo...

Accadono tante cose mentre si scrive un libro, sono tante le trovate e tanti i desideri racchiusi in trecento cartelle che, quando mi domandano l'argomento del libro che ho appena terminato, ho sempre il timore che si possa dire in dieci parole ciò che ho impiegato anni a raccontare, anni nei quali sono arrivata puntuale, come in nessun altro luogo, nella stanza di cui esorcizzo il silenzio con il quotidiano compito di inventare una storia. È questo, e nessun altro, il lavoro che la vita mi ha assegnato. Non ho mai imparato a ricamare, non ho mai avuto abbastanza talento per suonare il piano, non ho neanche lontanamente immaginato di scervellarmi sull'ingegneria, non saprei amministrare un'azienda, ne obbedire al mio partito o al mio capo, non ho la più pallida idea di come salvare l'ambiente e di medicina so quello che la mia vocazione di medico mi ha insegnato a leggere nel vademecum. Non sono mai riuscita a memorizzare neppure due righe di una legge, non saprei tenere la contabilità di un negozio e, nel bel mezzo di un acquazzone, non sono capace di vendere un ombrello. Non mi lamento delle mie carenze, scrivere è un mestiere che ripaga di quasi tutti i mali. Scrivendo, negli ultimi anni ho potuto udire una donna con la voce d'angelo che non ho, sono riuscita a innamorarmi di dieci uomini con tutta l'anima, ho ritrovato il padre che avevo perduto una mattina, ho condiviso la sua passione per l'opera, la politica e il buon vino, come se egli fosse il farmacista Sauri e io albergassi l'innocente fervore di sua figlia Emilia. Sono stata saggia come Josefa ed eccessiva come Milagros Veytia. Ho avuto uno zio ricco che mi ha lasciato in eredità una casa coloniale e infine ho giocato vicino alla fontana che c'era nel giardino del mio bisnonno.
Anzi, l'ho conosciuto, ho imparato da lui a curare le ferite, a riconoscere la gravità di una malattia, a estrarre figli dai ventri azzurri in cui li custodiscono le loro madri. Scrivendo 'Male d'amore' -il libro che ho terminato appena sei mesi fa e che già mi manca come un mondo perduto per sempre -sono salita sui treni della rivoluzione, sono diventata medico, guaritrice, indovina, contadina, generale, sacerdote, libraio, guerrigliera, amante di un uomo che ha bisogno di me e di un altro che non sa quello che vuole.
Ora che il romanzo è passato in mani altrui e che lo hanno letto i tre lettori che temo di più e i tre che mi dimostrano maggiore indulgenza; ora che è stato venduto agli editori e che incominciano ad arrivare le minuziose lettere dei traduttori, mi ha preso una tale nostalgia per quel mondo fra l'algido e il serafico nel quale ho vissuto mentre lo scrivevo, imprecando, dormendo male, opprimendo gli altri con l'angoscia di chi, un giorno sì e l'altro pure, si sente smarrita in una realtà strana e ardua che chissà come l'ha intrappolata e chissà quando si deciderà a lasciarla.
Che cosa vuol dire scrivere un libro? Perché si scrive un libro? I libri sono oggetti solitari, hanno una funzione soltanto se qualcuno li apre, esistono solo se vi è chi è disposto a perdersi in essi. Noi che li facciamo non siamo mai certi che ci sarà chi darà un senso al nostro lavoro. Scriviamo un giorno abbattuti e un giorno felici, come se camminassimo sull'orlo di un precipizio. A chi potrà interessare tutto questo? Ci sarà qualcuno che piangerà i morti che noi abbiamo pianto? Ci sarà chi avrà paura del desiderio, chi lo asseconderà e ne sentirà il bisogno insieme a noi? Perché scrivere un romanzo di costume? Chi si commuoverà per l'odore di zuppa calda che si spande giù per le scale che un avventuriero come Daniel Cuenca sta salendo? Chi apprezzerà il silenzio antiquato e coraggioso di Antonio Zavalza? Varrà la pena di leggere dieci libri su erbe e intrugli per trovare due nomi che rendano credibile mezza pagina? ...

Angeles Mastretta - da "Il mondo illuminato", Feltrinelli Editore 2000

Commenti

Etichette

Mostra di più