La recita di Bolzano

... «Mi stupisco di essere uno scrittore» gli rispose l'altro con naturalezza. «Non c'è niente da fare, Balbi, sono veramente uno scrittore, e fammi la cortesia di non raccontarlo a nessuno: non mi piacciono i piagnistei che si fanno per vantarsi. Lo dico soltanto a te, perché ti considero una nullità. Si può scrivere in diversi modi. C'è chi se ne sta seduto in una stanza e scrive, senza fare nient'altro. Questi sono gli scrittori felici. Può anche darsi che abbiano una vita infelice: sono sempre soli, guardano le donne che passano come i cani guardano la luna, ululano per comunicare le loro sofferenze al mondo intero, si lagnano pubblicamente del fatto che ogni cosa li addolora, il sole, le stelle, l'autunno e la morte. Hanno una vita infelice, eppure sono loro gli scrittori felici: vivono solo per scrivere, incapaci di occuparsi d'altro, mangiano sostantivi a colazione e si addormentano con un aggettivo tondo e succulento fra le braccia. Mentre dormono, un sorriso amaro aleggia sulle loro labbra. E quando si svegliano, fissano il cielo con occhi strabici, perché vivono in uno stato di estasi perenne, in una specie di cieca esaltazione dovuta al fatto che, grazie agli aggettivi e ai sostantivi, balbettando o con scioltezza, sospirando o con voce squillante, alla fine arrivano sempre e comunque a esprimere qualcosa: un'impresa in cui persino il Padreterno è riuscito soltanto una volta. Questi sono gli scrittori felici, che passeggiano tra noi con aria infelice, e le donne li trattano con gentilezza e compassione, un po' come dei fratellini ritardati che a loro, da brave sorelle maggiori più sagge, tocca consolare e preparare alla morte. Non mi piacerebbe essere uno di questi scrittori» disse con un'ombra di disprezzo. «Non sono altro che scrittori...»

Sándor Márai - da "La recita di Bolzano" Adelphi Edizioni, 2000

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