Lettera a Morton Kroll, 1939

Qualcuno, che citerò con molta imprecisione, ha detto una volta: «Uno scrittore che sia riuscito a calare il proprio sguardo ancor più in profondità, nella propria anima o in quella degli altri, scoprendovi, grazie al suo talento, cose che nessuno aveva mai visto o osato raccontare, ha ampliato l'orizzonte della vita umana».
Ecco perché un giovane scrittore, una volta giunto al bivio di ciò che è da dire e ciò che è da tacere riguardo al sentimento, è tentato di lasciarsi guidare verso quanto è conosciuto, ammirato e comunemente accettato, poiché sente dentro di se una voce che gli sussurra: "Nessuno sarà toccato da questa emozione, a nessuno interesserà questa azione irrilevante: sono cose mie, non hanno alcun valore universale; forse non hanno nemmeno senso". Ma se il talento dello scrittore è autentico, o se la fortuna è con lui (a seconda dei punti di vista), un'altra voce allo stesso bivio lo incita a registrare quelle cose apparentemente insolite e insignificanti; in esse e in null' altro, risiede il suo stile, la sua personalità, insomma, tutta la sua natura di artista. Ciò che ha pensato di buttar via o, troppo spesso, ciò che ha già buttato via, era l'unica buona qualità concessagli. Gertrude Stein stava cercando di esprimere un pensiero analogo quando -parlando della vita più che della letteratura -disse che lottiamo contro la maggior parte delle nostre qualità di spicco finche non arriviamo verso i quarant'anni, e allora, troppo tardi, scopriamo che esse costituivano la nostra reale personalità. Erano la parte più profonda del nostro io, che avremmo dovuto accarezzare e nutrire.
D' altra parte, quanto precede è inesatto, e si potrebbe essere fuorviati da tutto ciò che ho detto, nello stesso senso in cui lo sono stati Saroyan e il compianto Tom Wolfe pensando che la scrittura debba essere la coltivazione di ogni erbaccia trovata in giardino. È a questo punto che interviene il talento, a distinguere tra i fiori comuni che ciascuno conosce e che non sono particolarmente attraenti, le erbacce ribelli e ingannevoli, e quel minuscolo, timido, spesso invisibile fiore nascosto in un angolo: quel fiore, coltivato alla Burbank, è tutto ciò che sarà valsa la pena di far crescere, sia che rimanga piccino sia che raggiunga l'altezza di una quercia.

Francis Scott Fitzgerald - da "Nuotare sott'acqua e trattenere il fiato" - Edizioni Minimum Fax, 2000

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