Lezioni

Non stava bene, diceva, fumare la pipa davanti alle signorine. Così quando veniva a darmi lezioni di letteratura comparata, dopo il confino, quando gli avevano tolto i diritti civili e non poteva più insegnare nelle scuole pubbliche, gli facevo trovare le sue sigarette in un cassetto della mia scrivania (perduta insieme alla mia vita), così un giorno ha sbagliato, o ha detto di avere sbagliato cassetto, e ha trovato la mia traduzione di Spoon River. L’avevo fatta senza sapere che esisteva quel mestiere, solo perché mi ero innamorata, poco più che bambina, di quel ragazzo al quale, “baciando Mary con l’anima sulle labbra l’anima era volata via”.
D’estate andavamo su una panchina di Corso Moncalieri e mi leggeva, mi spiegava, una poesia di Lavorare stanca, una di Ossi di seppia, una di Quasimodo: una sola, se no non l’avrei ricordata. Avrei passato delle ore ad ascoltarlo parlare, con una voce che avrebbe fatto morire di invidia qualsiasi attore, che, pare incredibile, somigliava vagamente a quella di Hemingway; avrei passato ore ad ascoltarlo mentre mi spiegava le sottolineature rosse o nere o blu alle parole di Faulkner del libro che stava traducendo o mi leggeva le lettere di Vittorini infuriato perché la censura gli imponeva di scrivere “cosce” al posto di “seni” nella traduzione di un Caldwell che stava facendo.
Di quel loro periodo eroico sono rimasti solo insulti accademici e diffamazioni di rivali invidiosi. Chissà dove sono i manoscritti sulla “carta da minuta”, quella che costava meno. Chi lo sa. Ma dal mio cuore non usciranno mai.

Fernanda Pivano su Cesare Pavese

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