Bestie #3/6

Mi ricorderò sempre dei bei prati verdi che cominciavano dalla mia anima e da' miei piedi, e finivano quasi all'orizzonte. Pareva che tutta la terra stesse zitta per forza! O lunghe ventate, che non mi davano tempo di pensare! Forse, non ero triste quanto oggi; e tutte quelle mattine passate in ozio mi facevano bene.
Vedevo i contadini lavorare, di lontano, sul terreno a poggetti: e mi proponevo di andarci a parlare. Ma, fatti pochi passi, non ne avevo più voglia. Allora guardavo le case dei poderi, sempre dietro una sfilata di cipressi, con la strada in salita dove i carri avevano lasciato solchi larghissimi, sciupandola e portando via qualche strisciatura dai greppi. Forse, lo ripeto, non ero triste quanto oggi; e nel mio cuore i sogni non erano come vipere che si sentono buone. Allora, una giornata trascorsa non mi pareva un'altra ruga della mia fronte; e non avevo voglia di piangere, come ora, anche per piccola cosa e anche per niente.
Ma, forse, mi pentirei io di piangere?
Io sono soffocato dal mondo; e, quando parlo, mi pare che la mia anima riesca ad escirne fuora. E perché posso sentire odori che forse né meno esistono?
Io avevo in mente di trovare alberi, ed alberi erano da per tutto. Ma quel cielo, tutto turchino uguale, che mi pareva fossesi chiuso soltanto pochi momenti innanzi che io arrivassi, mi metteva un rimpianto di sogni.
Su i poggi cretacei l'aria splendeva, i fieni tremavano e luccicavano; e dalla strada, ch'io non vedevo, si fermavano, quasi salendo sopra i greppi, lunghe strisce di polvere dietro le automobili. Quella polvere pareva gialla; ma, diradandosi sempre di più, cominciava a brillare proprio nel momento ch'era per sparire affatto.
Dopo aver guardato, scendevo lungo i confini umidi del mio campo, dove l'erba era sempre più fitta e più alta. Talvolta nascondeva l'acqua traboccata dal fossetto; e mi bagnavo tutte le scarpe. Arrivavo fino ad un pinzo, dov'era un nocciolo selvatico; fermatomi dinanzi a lui, a poca distanza, non andavo via senza prima aver troncato un ramicello che mettevo subito in bocca. Risalendo il confine, verso casa, mi chinavo, senza fermarmi, per strappare un ciuffo di nipitella; e la sfregavo tra le mani.
Sul mio poggio, rivedevo i cipressi e le siepi. Allora guardavo lungamente il turchino, ed ero contento di vedervi un pettirosso che ruzzava con le sue ali.

Federigo Tozzi

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