Ballo e sogno

Ci si adegua a ciò che arriva e addirittura si benedice il fatto che ancora arrivi qualcosa o soprattutto qualcuno, attraverso sfumate versioni che siano di quel che è soppresso o interrotto o di quelli che sono rimpianti; è difficile, costa molto supplire le figure perdute della nostra vita, e si va scegliendo poco o nulla, si impone uno sforzo di convincimento per coprire quelle vacanti, e quanto male ci rassegniamo al fatto che si riduca l’elenco senza il quale non ci reggiamo né quasi ci sosteniamo, e anche così si riduce sempre se non moriamo o se non molto in fretta, non c’è bisogno di diventare vecchio e neppure maturo, basta avere alle spalle qualche morto amato o qualche amato che smise di esserlo per trasformarsi in nostro odiato od omesso, nel nostro massimo aborrito o cancellato, o esserlo noi di qualcuno che ci ha preso di mira o ci ha espulsi dal suo tempo, ci ha allontanati dal suo fianco e all’improvviso ha negato di conoscerci, un’alzata di spalle nel vederci domani il volto o nel sentire il nostro nome che sussurravano l’altro ieri molto soavemente le sue labbra. Senza che ce lo diciamo, senza che lo formuliamo, percepiamo quella difficoltà enorme del rimpiazzo, cosicché allo stesso tempo ci prestiamo tutti a occupare vicariamente i posti vuoti che altri ci vanno assegnando, perché comprendiamo e partecipiamo di quel meccanismo o movimento sostitutorio universale continuo della rassegnazione e della mancanza, o del capriccio a volte, e che essendo di tutti è il nostro; e così accettiamo di essere scimmiottature, e di vivere sempre più circondati da queste. Chi sa chi ci sostituisce e chi sostituiamo noi, sappiamo soltanto che sostituiamo e che ci si sostituisce sempre, in tutte le occasioni e in tutte le circostanze e in ogni svolgimento e dovunque, nell’amore, nell’amicizia, nell’impiego e nell’influenza, nella dominazione, e nell’odio che anche domani si stancherà di noi, o doman l’altro o l’altro o l’altro. Soltanto siete e soltanto siamo come neve sopra le spalle, scivolosa e mansueta, e la neve sempre si ferma. Non siete e non siamo come la goccia o la macchia di sangue, con il suo cerchio che rifiuta di scomparire e si afferra alla piastrella o al pavimento per rendere più difficile la propria negazione o il proprio sfumare o il proprio oblio; è la sua maniera insufficiente, ingenua, di dire “Io sono stato”, o “Sono ancora, quindi è certo che sono stato”. No, non siete né siamo come il sangue, nessuno lo è, e oltretutto anch’esso finisce per perdere la sua battaglia o il suo polso o la sua sfida, e alla fine non lascia traccia. È soltanto che ci volle più tempo per eliminarlo, e che la volontà di annientamento si dovette impegnare in questo.

J. Marías, Il tuo volto domani, 2. Ballo e sogno

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