La poesia riscalda #1/2

All'alba fa freddo sopra i duemila metri, anche d'estate. Mara si ferma per riprendere fiato e avvolgere la testa nella sciarpa di lana che la protegge dal vento pungente. Alza lo sguardo verso gli abeti scuri ancora lontani e ricomincia a salire. I pensieri si disperdono, un branco di cornacchie che finalmente tacciono, mentre il corpo parla al ritmo dei passi e del cuore che batte nel petto.
Il sentiero procede serpeggiando sul prato dove il verde brillante a tratti combacia col blu genziana del cielo. Qua e là sull'erba affiorano scaglie di rocce dove la sassifraga ha piantato radici tenaci e fiorisce di un pallido rosa. Sui versanti scoscesi, le macchie di rododendro si accendono di rosso man mano che il sole le raggiunge. Nuvole bianche si sporgono dagli orli seghettati dei monti gonfiate dal vento.
Al margine del bosco una figura nera attende.
Pagine e pagine perdute chissà dove, nascoste, strappate, bruciate perché nessuno potesse trovarle e leggerle. Scritte per coltivare un piccolo giardino, per dare voce a una corrente sotterranea che premeva alle porte della chiusa. Erano vita. Erano sostanza,aria, acqua, fuoco, terra fertile. Ormai non esistono più. Non erano abbastanza belle, abbastanza intelligenti, abbastanza originali...non erano abbastanza. Una perdita di tempo che distoglieva dalle cose importanti, concrete, logiche.
Una mano le stringe la gola, la fatica della salita la soffoca. Non ha più forza ed è costretta a fermarsi. La figura nera è ancora là, in lontananza appare quasi familiare.
Mara si inerpica sulla montagna, nonostante l'affanno e la spossatezza che da tempo le pesano sulla spalle, per rispondere a una chiamata. Una notte le era apparsa in sogno una nuvola a forma di uccello con le ali spiegate che puntava in direzione di una catena montuosa ricoperta di foreste di abeti che si rispecchiavano in un lago dalle acque di smeraldo. Nel sogno c'erano pecore e capre che pascolavano nei prati, non lontano da una baita in pietra. Dal camino sul tetto si innalzava un fumo azzurrognolo. Uno superbo cane lupo a guardia delle greggi, l'aveva fissata con occhi miti. - Vieni- dicevano.
Per giorni e settimane Mara aveva ignorato il sogno e il significato che quell'immagine limpida le aveva trasmesso. Finché una mattina mentre camminava sulla spiaggia si imbatté all'improvviso in un cane, un pastore tedesco, accompagnato da un uomo che lo richiamò subito e gli mise il guinzaglio. L'incontro le fece tornare il ricordo del sogno e decise che doveva partire.
Sa dov'è il posto indicato dalla nuvola. Si trova in una valle stretta, chiusa, ricca di acque, ai piedi di montagne maestose dove le tempeste si scatenano abitualmente con forte intensità e dove gli antenati pastori hanno lasciato traccia del loro passaggio incidendo sulle pietre stregoni, armi, animali, reticoli misteriosi. Ogni volta che Mara era stata lassù aveva presentito un'inspiegabile attrazione che la circondava e la tratteneva con mille invisibili fili.
Dopo la sosta al rifugio per la notte, si è messa in cammino la mattina quando ancora era buio e da alcune ore procede sul sentiero roccioso con lo zaino sulle spalle e il vento che la sferza e le fa lacrimare gli occhi.
Pur non sapendo che cosa l'aspetta quando arriverà in cima, al lago dalle acque di smeraldo, cammina con fiducia come se andasse incontro a un nuovo amore, a un evento che lascerà un segno profondo e positivo nella sua vita.
Il fiume ha bisogno di riprendere a scorrere lasciando venire a galla tutto il materiale che in anni e anni di trascuratezza vi è stato seppellito e che ora occorrerà ripulire dal fango e dai detriti. L'anima ha bisogno di ritrovare le sue stagioni e respirare tutto l'ossigeno di cui è capace per tornare a dire, a fare, a essere. Nuova energia scorrerà nel sangue col rinnovato vigore e saprà abbattere le barriere e le censure che per tanto tempo le hanno impedito di crescere.
Mara respira con calma. Ormai solo una breve radura la separa dalla foresta dove ora distingue chiaramente la figura immobile al confine del bosco. Ai suoi piedi è accucciato un cane pastore. È una donna anziana, abbastanza alta, vestita con un abito nero di foggia antiquata che le arriva alle caviglie. Tiene le mani intrecciate sotto il petto come se stesse pregando. Le due donne si guardano, a pochi passi di distanza una dall'altra. Mara è stupita, riconosce nella vecchia le stesse sembianze della nonna Margherita, ma non può essere lei. La nonna è morta da trent'anni. Però ha gli stessi capelli bianchi raccolti sulla nuca in una crocchia, gli occhi di un azzurro scuro come il colore delle genziane, il corpo robusto e forte sostenuto dalle gambe un po' divaricate fasciate da ruvide calze nere. Sopra l'abito nero indossa un grembiule legato in vita, con due grosse tasche di cotone stampato a piccoli fiorellini che scende sulla gonna fin quasi a coprirla. Sulle spalle uno scialle di lana traforato all'uncinetto a punti larghi fissato da uno spillone di perle. Calza un paio di vecchi scarponi da montagna di cuoio.
Mara vorrebbe fare un passo e abbracciare la donna, sentirsi raccolta tutta tra quelle braccia forti, ma la vecchia la precede, le prende il viso tra le mani rugose e sorride mentre gli occhi rimangono seri. - Vei, cita. T'aspeitai.-

Filo (continua)

Commenti

  1. Grazie Silva! Forse questi racconti sono un po' lunghi, anche divisi in due parti, per la rete dove si leggono cose brevi. :)

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