Occhi blu capelli neri

E’ sdraiato accanto a lei. Lei sta sotto la seta nera con gli occhi chiusi, accarezza gli occhi, la cavità degli occhi, la bocca, la linea del volto, la fronte. Cerca alla cieca un altro volto, attraverso la pelle, le ossa. Parla. Dice che quell’amore è terribile a viversi quanto l’immensità indiana. E grida.
Toglie le mani dal volto dell’uomo della camera come se scottasse, si allontana da lui, va a gettarsi contro il muro del mare. E grida.
Singhiozza. Scopre in quell’istante di essere davanti alla perdita di ogni ragione di vita. La cosa accade all’improvviso, con la subitaneità della morte. Lei chiama qualcuno con voce molto bassa, soffocata, lo chiama come fosse lì, come farebbe con un morto, al di là dei mari, dei continenti, col nome di tutti lei chiama un uomo solo con quella sonorità centrale della vocale-singulto d’Oriente, quella scaturita da sotto i tetti dell’Hotel des Roches alla fine di quella giornata d’estate.
Piange lontano da lui, lontano dall’uomo che è lì, indipendentemente da lui, al di qua di ogni storia, piange la storia che non è stata.

Marguerite Duras

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