Montagna del Mago

Sa dov'è il posto indicato dalla nuvola. Si trova in una valle stretta, chiusa, ricca di acque, ai piedi di montagne maestose dove le tempeste si scatenano abitualmente con forte intensità e dove gli antenati pastori hanno lasciato traccia del loro passaggio incidendo sulle pietre stregoni, armi, animali, reticoli misteriosi. Ogni volta che Mara era stata lassù aveva presentito un'inspiegabile attrazione che la circondava e la tratteneva con mille invisibili fili.
Dopo la sosta al rifugio per la notte, si è messa in cammino la mattina quando ancora era buio e da alcune ore procede sul sentiero roccioso con lo zaino sulle spalle e il vento che la sferza e le fa lacrimare gli occhi.
Pur non sapendo che cosa l'aspetta quando arriverà in cima, al lago dalle acque di smeraldo, cammina con fiducia come se andasse incontro a un nuovo amore, a un evento che lascerà un segno profondo e positivo nella sua vita.
Il fiume ha bisogno di riprendere a scorrere lasciando venire a galla tutto il materiale che in anni e anni di trascuratezza vi è stato seppellito e che ora occorrerà ripulire dal fango e dai detriti. L'anima ha bisogno di ritrovare le sue stagioni e respirare tutto l'ossigeno di cui è capace per tornare a dire, a fare, a essere. Nuova energia scorrerà nel sangue col rinnovato vigore e saprà abbattere le barriere e le censure che per tanto tempo le hanno impedito di crescere.
Mara respira con calma. Ormai solo una breve radura la separa dalla foresta dove ora distingue chiaramente la figura immobile al confine del bosco. Ai suoi piedi è accucciato un cane pastore. È una donna anziana, abbastanza alta, vestita con un abito nero di foggia antiquata che le arriva alle caviglie. Tiene le mani intrecciate sotto il petto come se stesse pregando. Le due donne si guardano, a pochi passi di distanza una dall'altra. Mara è stupita, riconosce nella vecchia le stesse sembianze della nonna Margherita, ma non può essere lei. La nonna è morta da trent'anni. Però ha gli stessi capelli bianchi raccolti sulla nuca in una crocchia, gli occhi di un azzurro scuro come il colore delle genziane, il corpo robusto e forte sostenuto dalle gambe un po' divaricate fasciate da ruvide calze nere. Sopra l'abito nero indossa un grembiule legato in vita, con due grosse tasche di cotone stampato a piccoli fiorellini che scende sulla gonna fin quasi a coprirla. Sulle spalle uno scialle di lana traforato all'uncinetto a punti larghi fissato da uno spillone di perle. Calza un paio di vecchi scarponi da montagna di cuoio.
Mara vorrebbe fare un passo e abbracciare la donna, sentirsi raccolta tutta tra quelle braccia forti, ma la vecchia la precede, le prende il viso tra le mani rugose e sorride mentre gli occhi rimangono seri. - Vei, cita. T'aspeitai.-
Sono due giorni che Mara non pronuncia ad alta voce una parola, ora vorrebbe dire qualcosa ma non le viene niente, forse non c'è bisogno di dire niente. Si asciuga gli occhi che l'aria fredda continua a farle lacrimare e sorride. Il cane si è alzato sulle zampe e si avvicina con un lieve guaito per darle il benvenuto. Mara si inginocchia e lo abbraccia a lungo. Ecco, più che le parole fa bene il calore che emana dal pelo folto e soffice dell'animale. Tutto vive in questo presente, nell'attimo in cui ogni sensazione è percepita come giusta e degna di essere vissuta, ogni gesto acquista un senso e si ricompone nel tranquillo fluire del sangue che ristabilisce l'equilibrio dei liquidi, dei muscoli, delle ossa. La pesante rigidità del corpo si spezza come la corteccia di un vecchio albero e lascia il posto a un movimento elastico e leggero che è una danza in sintonia col cuore e la calma dei pensieri.
La vecchia si mette in cammino di buon passo lungo un viottolo stretto che lascia la radura e s'inoltra nella foresta di abeti giganteschi che il sole sfiora sulle cime. Ha con sé un cestino e di tanto in tanto si ferma a cogliere un rametto di erba, una foglia, delle bacche. Non conosco i nomi delle cose che vedo, né delle erbe, dei fiori, degli animali che vivono in questo bosco, a che serve leggere tanti libri e ignorare i vocaboli che danno nome alla vita e alla bellezza di queste montagne. La sostanza di cui mi nutro è fatta di parole vane, morte, ostili che hanno soffocato la mia vera natura imprigionandomi in una corazza che non mi appartiene. Troppo tempo ho sprecato nel dare importanza a cose che non la meritavano e a sforzarmi di diventare quel che non sono.
All'uscita dal bosco appare il lago con le sue verdi acque appena increspate dalla brezza dove si rispecchia la cima della Montagna del Mago che torreggia in lontananza ancora coperta di neve. La baita in pietra addossata sul pendio erboso inondata dal sole col fumo che esce dal camino è la stessa del sogno. Vicino alla casa scorre un ruscello che lambisce le rive tappezzate di fiori gialli e più lontano rocce e foreste che racchiudono la conca in un mirabile scrigno.

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