Alcesti

La schiava migliore
non ha bisogno d’esser picchiata.
Si picchia da sè.
Non con una frusta di cuoio,
o con bastoni e verghe,
non con un randello
o con un manganello,
ma con la frusta fine
della sua stessa lingua
e il battere sottile
della sua mente
contro la sua mente.
Chi può infatti nutrire per lei metà
dell’odio che nutre essa stessa?
e chi può eguagliare la finezza
degli insulti che si rivolge?
Anni di allenamento
occorrono per questo.
Venti anni
di auto-indulgenza
e negazione di sè;
finchè il soggetto si ritiene una regina
e pure una mendicante -
le due cose allo stesso tempo.
Deve dubitare di sè
in tutto fuorchè l’amore.
Deve scegliere appassionatamente
e malamente.
Deve sentirsi perduta come un cane
senza il padrone.
Deve riferire tutte le questioni morali
al proprio specchio.
Deve innamorarsi di un cosacco
o di un poeta.
Non deve mai uscire di casa
se non celata sotto il trucco.
Deve portare scarpe strette
perché sempre ricordi di essere schiava.
Non deve dimenticare
che è radicata nel terreno.
Benché sia svelta nell’apprendere
e riconosciuta intelligente
il dubbio che istintivamente ha di sè
la deve rendere così debole
che si applica brillantemente
a mezza dozzina di opere d’ingegno
e così abbellisce
ma non cambia
la nostra vita.
Se è un’artista
e quasi quasi è un genio,
il fatto stesso d’avere questo dono
deve riuscirle così penoso
che si toglie la vita
piuttosto che vincerci.
E dopo la sua morte, piangeremo
e ne faremo una santa.

Erica Jong - Alcesti al circuito della poesia, 1973

Commenti

  1. Conoscevo Erica Jong solamente per uno dei suoi romanzi, Fanny Hill, che mi era piaciuto immensamente. Non avevo capito, però, la portata del suo pensiero e della sua opera, perché le altre cose sue che avevo letto non mi erano piaciute molto. Forse non era il momento adatto per me di leggerle. Grazie di aver pubblicato Alcesti, me l'ha fatta sentire molto vicina e mi ha fatto tornare la voglia di leggerla!

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