Sindrome di Stoccolma
Ho un garbuglio di pensieri in testa che non credo di essere capace di sbrogliare. E’ come a scuola con l’algebra. Tutta quella serie di numeri strani che restavo lì a fissare per minuti. Sudavo, guardavo l’orologio, cercavo di copiare. Non capivo che ci dovessi esattamente fare con tutti quei dannati numeri. Mi facevano impazzire. Allora consegnavo il foglio in bianco e andavo in bagno a fumare. Poi sono arrivate le donne e le donne sono molto più complicate dell’algebra. Hanno bisogno di attenzioni, di salti mortali, di un impegno sovrumano costante, di preliminari, di supplementari. Hai ragione quando dici che provo a tenerti lontana, il problema è che non ci riesco mai. Mi arrendo. Alzo bandiera bianca. Hai vinto. Tu hai vinto e io ho perso. Pensa che quando ci frequentavamo mi sentivo così in colpa quando mi adoperavo così diligentemente per portare la cosa con i piedi sulla terra. La cosa non aveva nome. Era semplicemente la, virgolette, cosa. Mi addolorava farti soffrire, ma sentivo che era giusto fare così. Io ero quello forte e avevo delle responsabilità precise. Non avevo capito un cazzo. E adesso sono passati tutti questi mesi, così tanti, e io sono sempre lo stesso ingenuo coglione di sempre. E’ tutto il giorno che provo a non pensare a te. Tutto il giorno a pensare: non pensare a lei, non pensare a lei, non pensare a lei. Non sopporto la banalità di questi sentimenti. Tutto questo inutile struggersi. Mi fa sentire debole e indifeso e io odio sentirmi così. Tutti detestano sentirsi così. E poi io sono fatto in questo modo. Sono ottuso e privo degli strumenti necessari per fare qualsiasi cosa. E tu stai vedendo uno. E ogni volta che mi viene in mente di mandarti un messaggio questo piccolo particolare mi blocca. Che ci vuoi fare, sono un gentiluomo dei tempi andati. Quindi resterò tuo ostaggio in silenzio, per tutto il tempo che sarà necessario. Non proverò più a scappare. Starò tranquillo, legato, buono qui. Con la sindrome di Stoccolma e tutto quanto il resto. Fino a quando non mi verrai a slegare e mi lascerai andare. La prima cosa che farò sarà quella di abbracciarti. Poi dopo proverò a baciarti. Ti prenderò per mano e usciremo insieme dal rifugio all’aria aperta. Tu avrai i tuoi occhiali da sole, io farò gli occhi a fessura e dirò qualcosa di scemo. Tu mi colpirai con un pugno nello stomaco e poi scoppierai a ridere. Poi verrà la sera e la sera avrà ancora il nostro odore. Poi io mi sveglierò, in un bagno di sudore.
Arturo Folletti
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