Epigrafi

Coi tuoi occhi infossati
i capelli leggeri,
il volto deciso
il riso impetuoso
e il silenzio insistente…
Tu non chiedevi altro che meritare
le più alte delle nostre parole:
e adesso è chiaro
quel tuo pudico tacere e gridare,
quel tuo umiliarti
e adirarti.
Tu cercavi in noi, inutilmente,
il tuo cuore…

È chiaro il tuo volto sofferente,
è chiaro il tuo riso
è chiaro il tuo pudore,
è chiara la tua innocenza,
e il tuo darti agli altri
smanioso di’ offrirti,
di testimoniare
con forza giovanile
il tormento,
con la violenza la pietà.
Nei tuoi ritratti, le tue vesti,
i tuoi libri,
non sentiremo più la tua vita.
La tua giovinezza
non splende per noi chinata
sulla terra dell’ orto
e non splendono i tuoi capelli.
Fu un vento ignoto a spirare
sul tuo mondo, su te,
e vi ha tutto sconvolto.
Libertà, la tua bocca ridente,
Libertà, la tua fronte pallida,
Libertà, le tue spalle leggere.

Poi il vento è caduto.
Dispersa la tua vita,
stringi nel pugno la tua fede.
Dai silenzi della tua vita
torna solo la voce
della tua fede silenziosa.
Possiamo noi pronunciare le parole
per cui hai dato il tuo corpo
temendo di non dare troppo?
Italia, Libertà…
e parole più umane, amore,
E a chi non vi creda
mostra le mutate
nel terribile sangue
che era di tua madre.

Fu questo il tuo gioco
per cui tua madre attende
d’essere morta,
nient’ altro,
in questa estranea terra.
Ma che cosa ci hai dato?
Qualcosa di immenso,
e tu lo sapevi,
ragazzo,
lo sapevi morendo solo
sotto gli alberi testimoni
e la neve calpestata dai piedi
che andavano alla morte.
Qui in Italia
le nubi possono ora solcare il cielo
e il vento scuotere gli alberi,
l’Isonzo e gli altri fiumi
correre al mare…
Nella nostra Italia
gli uccelli possono cantare,
esser verdi le foglie
e giocare i ragazzi.
Il sole può illuminare le acque
e la pioggia cadere
e sui monti brillare la neve.
Tu non puoi essere,
tu che ci hai dato la neve
la pioggia, la luce,
i venti, le nubi…

Gridiamo: Amore,
gridiamo forte Amore,
che ne risuonino i monti,
e le valli,
e tuoni nelle orecchie: Amore!
C’è un ragazzo,
un candido morto,
che vive in quel grido...

Questa poesia P. P. Pasolini la dedicò al fratello Guido (Ermes) partigiano delle Brigate Osoppo fucilato a Porzus (Friuli) dai gappisti.

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