Prima che tu dica «Pronto»

Se ho tanta fretta di telefonarti dopo poche ore di assenza, non è perché mi sia rimasto da dirti qualcosa d’indispensabile, né è la nostra intimità interrotta al momento della partenza che sono impaziente di ristabilire. Se provassi a sostenere qualcosa di simile, subito m’apparirebbe il tuo sorriso sarcastico, o sentirei la tua voce che con tutta freddezza mi dà del bugiardo. Hai ragione: le ore che precedono le mie partenza sono piene di silenzi e disagio tra noi; finché resto al tuo fianco la distanza è incolmabile. Ma è proprio per questo che non vedo l’ora di chiamarti: perché solo in una telefonata interurbana, o meglio internazionale, possiamo sperare di raggiungere quel modo di stare che viene definito di solito come «stare insieme». E’ questo il vero motivo del mio viaggio, di tutti i miei continui spostamenti sulla carta geografica, dico la giustificazione segreta, quella che do a me stesso, senza la quale i miei obblighi professionali d’ispettore agli affari europei d’una impresa multinazionale mi sembrerebbero una routine senza senso: parto per poterti telefonare ogni giorno, perché io sono sempre stato per te e tu sei sempre stata per me l’altro capo d’un filo, anzi d’un cavo conduttore coassiale in rame, l’altro polo di una sottile corrente a frequenza modulata che scorre nel sottosuolo dei continenti e sui fondali oceanici. E quando non c’è tra noi questo filo a stabilire il contatto, quando è la nostra opaca presenza fisica a occupare il campo sensorio, subito tutto tra noi diventa risaputo superfluo automatico, gesti parole espressioni del viso reazioni reciproche di gradimento o d’insofferenza, tutto quello che un contatto diretto può trasmettere tra due persone e che in quanto tale si può anche dire che venga trasmesso e ricevuto perfettamente, sempre tenendo conto dell’attrezzatura rudimentale di cui gli esseri dispongono per comunicare tra loro; insomma la nostra presenza sarà una bellissima cosa per entrambi ma non si può certo paragonare con la frequenza di vibrazioni che passa attraverso la commutazione elettronica delle grandi rete telefoniche e con l’intensità d’emozioni che essa può suscitare in noi.
Le emozioni sono tanto più forti tanto quanto più il rapporto è precario azzardoso insicuro. Ciò che non ci soddisfa dei nostri rapporti quando siamo vicini, non è che vadano male, ma al contrario, che vadano come devono andare. Mentre ora mi ritrovo col fiato sospeso continuando a sgranare la serie di cifre nel disco rotante, ad aspirare con l’orecchio i fantasmi di suoni che affiorano dal ricevitore: un tamburellìo di «occupato» come in secondo piano, così vago da far sperare che sia un’interferenza fortuita, qualcosa che non ci riguarda; oppure uno smorzato sfrigolìo di scariche che potrebbe annunciare il successo d’una complicata operazione o almeno d’una sua fase intermedia, o ancora lo spietato silenzio del vuoto e del buio. In qualche identificabile punto del circuito il mio appello ha perduto la strada.

Italo Calvino

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