Felicità

(…) Era incantevolmente remota e tenera, con un mezzo sorriso tra le labbra. Aveva una delicatezza di porcellana, che rendeva gli altri gentili quando parlavano con lei. I suoi anelli le scivolavano lungo le dita mentre faceva il tè. 
Contro la parete color porpora, essa era come una figura di porcellana, una intenzionale decorazione, con la sua linda testa nera, mani bianche e faccia bianca.
Oppure, come scrisse in un racconto famoso: Vi sorprendeva con quello stesso trasalimento che si prova quando si è bevuto il tè in una sottile, innocente tazzina e all’improvviso, nel fondo, si scorge una creaturina minuscola, mezza farfalla metà donna, che ci fa l’inchino con le mani nelle maniche. Il volto - coi capelli bruni e lisci stretti a cuffia intorno alla testa, mentre la frangia era come incollata sulla fronte pallida - sembrava una maschera tranquilla, intagliata nel legno. Parlava senza muovere le labbra, con un misterioso, piccolo mormorio. I gesti erano quieti, contenuti, riservati, rari.
Tutta la vitalità, che aveva abbandonato quella maschera dipinta da un esperto pennello orientale, si era concentrata negli immensi occhi neri. Sotto le sopracciglia arcuate, sotto le ciglia così lunghe che, quando le abbassava, riflettevano la luce, gli occhi scuri da uccello guardavano qua e là, posandosi dappertutto nello stesso momento, le pupille si dilatavano mentre guardava: lo sguardo era circospetto e indagatore, inquisitivo, possessivo, impavido, divorante, e, alla fine, quando tutto era stato riflesso e assorbito, quando tutto era ormai perduto, si smarriva lontano.

Piero Citati, nel saggio introduttivo di Felicità.

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