I racconti del Necronomicon (Il cane)

Possa il cielo perdonare la follia e la morbosità che ci condusse entrambi a un fato tanto mostruoso! Stanchi dei luoghi comuni di un mondo prosaico, nel quale persino le gioie dell’amore e dell’avventura subito si fanno stantie, St. John e io avevamo seguito entusiasti ogni movimento estetico e intellettuale che promettesse sollievo al nostro devastante tedio. Gli enigmi dei simbolisti e le estasi dei pre-Raffaelliti non avevano mancato di interessarci, ma ogni nuovo stile veniva troppo presto prosciugato da altre novità o attrazioni.
Soltanto la cupa filosofia dei decadenti poteva aiutarci e la trovammo potente solo aumentando gradatamente la profondità e l’arte diabolica delle nostre penetrazioni. Baudelaire e Huysmans persero presto ogni brivido; e ben presto ci rimasero solo gli stimoli diretti delle personali esperienze e avventure innaturali. Fu questo spaventoso bisogno emozionale che ci portò infine a quella detestabile condotta che perfino nella presente paura riesco a nominare solo con vergogna ed esitazione, il ripugnante eccesso dell’oltraggio umano, l’aborrita pratica di predare le tombe.
Non posso rivelare i dettagli delle nostre sconvolgenti spedizioni, ne catalogare, seppure in parte, i peggiori trofei che adornavano l’innominabile museo approntato nella grande casa di pietra dove abitavamo, da soli e senza servitori. Il nostro museo era un luogo blasfemo e impensabile, dove col gusto satanico di virtuosi nevrotici avevamo riunito un universo di terrore e decomposizione per eccitare le nostre sazie sensibilità. Era una stanza segreta, giù lontano, sottoterra; dove enormi demoni alati scolpiti nel basalto e nell’onice vomitavano da larghe bocche ghignanti luci arcane, verdi e arancioni, e tubi pneumatici nascosti scompigliavano in danze caleidoscopiche di morte le linee di rossi avanzi sepolcrali intessuti mano nella mano su voluminosi tendaggi neri. Da questi tubi uscivano a comando gli odori che il nostro stato d’animo più bramava; ora il profumo di pallidi gigli funebri; ora l’incenso narcotico di immaginari reliquiari d’Oriente di morti regali, e talvolta - come rabbrividisco al ricordo! - gli spaventosi fetori della tomba scoperchiata che rivoltano l’anima.

Howard Phillip Lovecraft

Commenti

  1. Non dimentichiamo il vecchio, caro Eddie, di cui Lovercraft è debitore.
    L'incipit è disperatamente poesco.

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