Prigionieri del paradiso

A quei tempi cercava il terrore come se si fosse trattato di un fiore dal profumo soave. Nero e bianco, storto di zampe, con un occhio cieco, il bulldog della moglie di Kermit Hazen si avventava attraverso il prato dal suo posto consueto sotto un cespuglio per azzannare l’ombra di Furber là ove essa cadeva tra le assicelle della recinzione. Troppo spesso avevano trovato Jethro disteso in quel punto privo di sensi, e allora sua madre e suo padre si abbracciavano, piangendo, domandandosi che cosa mai in nome del Cielo avrebbero fatto del loro bambino e perché egli fosse stato preso da quei modi strani e folli, così crudeli e innaturali. Gli negarono ogni libro che non avessero prima esaminato attentamente essi stessi, così come gli vietarono la recinzione degli Hazen e in seguito la cava di pietra e i dirupi al di là della cittadina, e in ultimo tutte le aie delle fattorie, a causa delle oche, e le stazioni ferroviarie a causa delle locomotive, poi i funerali, i cimiteri, i giardini zoologici, e i circhi, le cantine, gli armadi a muro, le soffitte, i boschi e le case vuote, le gare atletiche, gli incendi, i comizi e le riunioni del risveglio religioso… insomma ogni forma di eccitazione pubblica… e tentarono di ripararlo dallo strepito e dalla violenza delle tempeste, nonché da ogni altra manifestazione grandiosa della natura; ma nessuno di questi divieti risultò essere di qualche utilità, perché lui perfidamente disubbidiva, e le minacce del padre, le crisi isteriche della madre, le loro ore di pianti e di commiserazioni, trattandosi di cose che molto temeva, le cercava tanto avidamente quanto con avidità andava in cerca del bulldog, o dei racconti di cannibali nei libri, o dei capogiri che sempre lo vincevano nei luoghi elevati.

William H. Gass

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