Temi

I temi lirici non sono la lirica: la luna e la selva del Leopardi, la sera e i cipressi del Foscolo non furono occasioni puramente esteriori, da veduta oleografica, reagenti di formule adatte a creare all’istante canti o sonetti; erano il “paesaggio” (e non solo in senso visivo) dell’uomo del loro tempo, gli elementi della natura che accompagnavano le angosce o la felicità delle stagioni comuni al poeta e a tutti i viventi del secolo. Non affermiamo che per scrivere versi oggi sia necessario negare la natura, sostituirla con il profilo di città industriali, autostrade, ingranaggi: sarebbe un errore identico a quello che commette colui che, ignorando il mondo attuale delle macchine, continua a rimare con fiori e farfalle. La natura, sempre presente, ha però deformato il proprio volto: essa è quasi un paradiso perduto e non potrà più ritornare negli occhi del poeta come gli alberi e i fiumi cari a Virgilio. Il paesaggio è dunque mutato: al posto degli “aerei poggi di Bellosguardo” ci possono essere, dietro la finestra dello scrittore, le ciminiere della fabbrica o i piloni di un’autostrada. La presenza del video tecnico e industriale non è solo esterna ma anche compenetrata, sottile, nella abitudini, nei contatti, negli isolamenti di ogni giorno. L’uomo modifica la realtà nel suo strato più superficiale, però i sentimenti fondamentali (come dolore, amore, morte) non possono essere tagliati fuori da nessuna prospettiva di oleodotti o grattacieli. Fino a quando l’uomo resterà se stesso, corpo e anima, soggetto al piacere e alla corruzione, al bene e al male fisici e spirituali, il poeta non potrà spostare di un millimetro la sua zona creativa. Cambieranno il linguaggio, il modo di dire una verità, si tenteranno nuove esperienze (più o meno simboliste metafisiche surrealiste), si faranno giochi della mente e della ragione, ma il risultato per essere universale, cioè poesia, alla fine accolto da tutti gli uomini, amato anche se non da ognuno compreso, dovrà avvenire nello stesso spazio eterno e provvisorio della voce di un Rimbaud o di un Foscolo.

Salvatore Quasimodo, Un anno di lettere aperte (Il Tempo, 1968)

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