Deep Lipsia

Gli anni passarono, io crebbi sano e ottimista come un dio, vivendo alla giornata, e la villa di Marina di San Nicola ancora si difendeva e veniva considerata in circoli rispettabili della capitale un asset niente male, se la rivendevo ci facevo abbastanza per comprare sufficienti cani lupo da andarmene in giro circondato da torme di cani di lupo per pianure gelide e predicando il verbo della rinuncia alla tecnologia, dormendo dove capitava, perché si può dormire dove capita, quello che è difficile è trovare un posto dove lavorare, ma all’epoca io avevo solo sedici anni, andavo al liceo Pio IX tenuto dai fiamminghi Fratelli di Nostra Signora della Misericordia in Via della Conciliazione a Roma usando una Honda 125, vestivo come un teppista, conoscevo un certo Giorgio detto Gunther, correva in motocicletta e vestiva come un teppista, mi venerava. Io gli ero affezionato. Mia madre soffriva di una forma debole di Alzheimer e mio padre era morto da qualche settimana di cancro o forse il rovescio, adesso non posso ricordare, mio fratello aveva cominciato a lavorare nel settore delle costruzioni e aveva un corpo perfetto, lo vedevo quando non più di dodici giorni ogni agosto veniva a trovarmi a Marina di San Nicola per esibirsi col windsurf, uno dei miliardi di sport che gli riuscivano ottimamente, mentre a me non ne riusciva nessuno, fu così che un a mattina, subito dopo la colazione che come al solito preparavo io, mio fratello si lamentò del fatto che le fette biscottate non erano tostate a dovere, e io controbattei, e lui si lamentò che la marmellata di pesche artigianali non era squisita, e io controbattei, e lui si lamentò che io non facessi abbastanza per accudire mamma o papà malati di Alzheimer e che sprecavo tutto il tempo che avrei potuto dedicare a quel debito di sangue tentando di imparare a suonare il pianoforte, e mio fratello: “ma a sedici anni non puoi che diventare un pianista di merda” e io: “perché?” e lui: “perché hai le dita per metà intorpidite per metà in cancrena, sei un impedito” e io andai nello stanzino degli attrezzi presi la vanga con la quale molti anni addietro avevo seppellito nonno e tornai in tinello diedi una tremenda vangata in terra come Odino con la sua lancia e dissi a mio fratello: “o ritratti o te ne vai per sempre, non sarai mai più ospite della villa che come da testamento di mamma e papà è stata data a me perché a me piace il mare a te la città e l’industria e il danaro e le banche e gli sport” e mio fratello: “non ritratto, ciao Hassan”. Mio fratello è sempre stato un originale. Un tipo speciale. Uno che non ritratta. Neanche sul windsurf cambia mai idea, l’ho visto mentre va sulla tavola, il petto in tensione: non pensa a niente.

Giordano Tedoldi

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