Tre sentieri per il lago

Una volta aveva ottenuto un contratto e un acconto di cento dollari e con quei primi preziosi dollari che aveva guadagnato le aveva comperato una tale quantità di fiori che poi non erano bastati tutti i vasi e i recipienti della casa per sistemarli, e avevano dovuto metterli nel lavabo e nella vasca da bagno, e in più le aveva regalato un profumo costosissimo, una bottiglia enorme, ed Elisabeth era rimasta sbalordita, non tanto dalla gioia, ma piuttosto perché c’era ancora il conto del telefono da pagare e in quel momento anche lei era a corto di quattrini; ma ora, mentre si alzava e dava uno sguardo d’addio a quel castello che non era più un castello, dato che non era venuta nessuna cameriera e così le era stato risparmiato un caffè alla tedesca, ora si rivide con le braccia colme di fiori, incerta se ridere o piangere, come in quei film dove gli uomini mandano alla protagonista tali montagne di fiori che la diva sembra restarne sommersa, e udì ancora se stessa che diceva: You are a fool, oh Hugh, my darling, you must be crazy! Oggi non c’era più dubbio che un conto del telefono pagato non sarebbe rimasto nella memoria di Elisabeth come un conto che erano riusciti a saldare per miracolo, ma i fiori e il denaro buttato via, tutto ciò che Hugh aveva fatto di inutile, questo sì le era rimasto dentro, lui era diventato proprio questo per lei, circonfuso di gloria viveva ancora in lei, mentre Hugh - in Messico o dovunque ora fosse di moda andare per «ricominciare tutto daccapo», perché quella di allora era stata una moda - Hugh forse non sapeva più nulla di quell’ora, l’ora nella quale il piccolo appartamento era stato sepolto sotto i fiori e lui, raggiante di gioia, le aveva detto che Bandit era l’unico profumo adatto per lei, e invece in Sudamerica o magari di nuovo a New York lui pensava ora a qualcosa di sgradevole di cui Elisabeth non sapeva nulla, oppure a qualche cosa di bello, a un attimo di felicità che lei non ricordava più.

Ingeborg Bachmann

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