Lager

Fummo ammassati davanti a sant’Angelo in pescheria: i camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini… e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion imboccava il lungotevere in direzione di Regina Coeli… Ma il camion andò avanti fino al collegio militare. Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione. Che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? Campo di concentramento allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il lager.

Settimia Spizzichino

(l’unica donna tornata dalla deportazione degli ebrei del ghetto di Roma ad Auschwitz)

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