La settima onda

Cara Emmi, nella parte più interna della mia mano sinistra, suppergiù al centro, dove la linea della vita è intralciata da grandi pieghe ad arco e devia verso l’arteria radiale, lì c’è un punto. Lo osservo, ma non riesco a vederlo. Lo fisso, ma non si lascia trattenere. Posso solo sentirlo. Lo percepisco anche a occhi chiusi. Un punto. E’ così forte al tatto che mi vengono le vertigini. Quando mi concentro su di esso, il suo effetto si propaga fino alle punte dei piedi. Mi pizzica, mi solletica, mi riscalda, mi scuote. Stimola la circolazione del sangue, dirige il mio polso, decide il ritmo del battito cardiaco. E nella testa fa l’effetto inebriante di una droga, dilata la mia coscienza, allarga il mio orizzonte. Un punto. Potrei ridere dalla gioia, da quanto mi fa bene. Potrei piangere dalla felicità di possederlo e di esserne stato catturato e ricolmo fino alle membra più sottili.
Cara Emmi, nella parte più interna della mia mano sinistra, là dove si trova quel punto, oggi pomeriggio, saranno state all’incirca le 16, al tavolo di un caffè è avvenuto un incidente. La mia mano voleva prendere un bicchiere d’acqua, è stato allora che le sono venute incontro le dita disinvolte di un’altra mano, delicata, hanno tentato di frenare, hanno tentato di sterzare, hanno tentato di evitare la collisione. Ce l’avevano quasi fatta. Quasi. Per una frazione di secondo, la morbida punta di un dito dalla scatto rapido si è ritrovata sulla parte più interna della mia mano che afferrava il bicchiere. Questo ha generato un leggero contatto. Io l’ho conservato. Nessuno potrà portarmelo via. Ti sento. Ti vedo. Ti riconosco. Sei la stessa. Sei identica. Sei il mio punto.

Daniel Glattauer

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